In epoca Han assistiamo alla nascita del “fù” (赋, tradiz. 賦) nella prima parte della dinastia Han (Han Occidentali o Anteriori) e dello “yuèfú” (乐府, tradiz. 樂府) nella seconda fase della dinastia Han (ma sempre durante gli Han Occidentali).
Il fù, dotto e artificioso, è conosciuto come prosa rimata ma anche prosa-poesia o poesia in prosa ed è un genere poetico particolare senza regole stilistiche molto codificate e precise ma spesso ha versi molto lunghi. È scritto in uno stile ricercato, immaginoso, retorico, ricco di iperboli e fronzoli, di cui si servono autori desiderosi di far sfoggio della propria cultura. L’autore cerca non solo di trattare tutti gli aspetti dell’argomento in questione, ma tenta anche di esaurire tutte le risorse del linguaggio che sono legate ad esso. Dal punto di vista stilistico trae spunto dalle elegie di Chu. I versi delle “Elegie di Chu” overo Chuci (楚辞) vanno dai 2 agli 11 caratteri e spesso finiscono con la particella “xi” che forse faceva da cesura all’interno di un unico verso. Anche i fu hanno versi lunghi e variabili. Le Odi (Shijing), invece, hanno verso quadrisillabici (di 4 sillabe). Il fù quindi è più vicino al Chuci che allo Shijing. La famiglia Han deriverebbe dallo stato di Chu, lo stesso menzionato nel Chuci. Nel fu sono presenti figure retoriche e parti in prosa e anche le parti poetiche possono essere più discorsive. Per questo il fù viene tradotto come poesia-prosa. Una caratteristica del fù è che suona bene, ha una certa cadenza musicale ma diversamente dagli altri tipi di poesia, nati da canti, è nato per essere letto ad alta voce ma non cantato. Soprattutto con l’avvento degli Han Posteriori, il fu è spesso utilizzato per scopi celebrativi verso l’imperatore e verso tutti gli aspetti connessi a lui (caccia, parchi…). Il primo autore a parlare di fu è Xunzi e lo fa per esprimere contenuti filosofici in stile di dialogo. Ma è in epoca Han che il fù viene codificato e considerato genere stilistico. È soprattutto con Sīmǎ Xiāngrú (179-117 a.C.) che il fu acquisisce una certa importanza. Xiangru è di famiglia umile e fu istruito soprattutto dalla madre, sposò una donna benestante. Xiangru scrisse una poesia su uno dei pilastri di un ponticello, un componimento chiamato Zixu fù (“Il signor Vuoto” o “Signor Nulla”) che fu notato dall’imperatore: incominciò a lavorare per l’imperatore descrivendo lo sfarzo di palazzo come si può notare dello Shanglin fu (Il parco imperiale). Ciò che contraddistingue il fù è l’uso di figure retoriche ridondanti e contrastanti frequenti ed esagerate e l’uso di descrizioni dettagliate che spesso fanno del fù un componimento poco originale anche se molto dotto. Fra i fù composti da Xiangru a corte ricordiamo il fu Shanglin fù (上林赋, “Il parco superiore”). Fra i componimenti che scrisse a corte ce ne sono alcuni rivolti alle persone: fra questi un fù di lamento amoroso di una moglie dell’imperatore. I fù di Xiangru pervenutici però sono pochi. Fra gli autori che scrissero fù ricordiamo Méi Chéng (morto del 140 a.C.) che scrisse il fù Qīfā (七发, I sette avvisi), nei quali finge che il principe ereditario è malato e che un uomo vada a fargli visita promettendogli di farlo guarire dopo che gli avrebbe raccontato sette piaceri (musica, banchetti, corse dei carri, amore, caccia, osservare un fiume in piena in una sera d’autunno) in forma di poesia. Le imitazioni di questo fù, in cui vengono affrontati sette argomenti anziché uno, costituirono un genere a sé stante, il qi (sette). Sotto Mei Cheng il fù acquisisce una modalità didattica e moralistica, non più celebrativa come nel caso di Xiangru.
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