Etnomusicologia: Cina, Corea, Giappone, Mondo arabo

Musica in Asia orientale: coreani, giapponesi, vietnamiti e mongoli hanno elaborato in modo originale gli elementi mutuati dalla Cina e ne hanno a loro volta influenzato le tendenze anche se in modo minore. In Cina e Giappone ci sono significativi gruppi minoritari che hanno determinato una varietà all’interno dei loro territori. Se il modello cinese, inoltre, ha avuto una certa influenza per le classi dominanti dei paesi limitrofi, la stessa cosa non si può dire delle classi subalterne. Le diverse corti orientali condividono elementi comuni di origine confuciana quali il patrimonio organologico, la concezione della musica, la teoria basata sulla terminologia di origine cinese, la ricca storiografia musicale, le istituzioni musicali connesse al potere centrale (gli uffici della musica). Ognuno di questi paesi con il tempo ha però elaborato una propria musica: la yayue della dinastia Qing sopravvive a Taiwan in una versione ricostruita, vestigia della musica Song permangono nello aak coreano, il Vietnam conserva elementi i musica Ming nel nha nhac, il gagaku giapponese mantiene tracce della musica da banchetto Tang (detta yanyue). Elementi che hanno determinato lo sviluppo delle civiltà dell’area sono le dottrine provenienti dalla Cina quali il confucianesimo, il buddhismo e il daoismo e il sistema di scrittura dei sinogrammi. Ogni cultura però ha rielaborato i concetti grazie anche a concezioni autoctone come muismo in Corea e shintoismo in Giappone, questi hanno mantenuto anche un repertorio proprio. Il confucianesimo collega musica rituale, società e cosmo. In tutta l’Asia orientale la musica è associata alla danza tanto da essere definite con l’unico vocabolo di yue in Cina, ak in Corea e gaku in Giappone. Secondo la classificazione organologica di Sachs e Hornbostel (applicata ancora in etnomusicologia) si hanno quattro tipi di strumenti:

–          Cordofoni: in origine con corde in seta ora in acciaio o nylon (questi in Cina, Corea del Nord e Vietnam)  o tetron (in Giappone e Corea del Sud) per adattarli ai nuovi contesti concertistici che richiedono un suono più udibile. I cordofoni più rappresentativi in asia orientale sono le cetre da tavola, cordofoni in cui non si distinguono manico e cassa perché costituiti, se da tavola, essenzialmente da una tavola. La sottotipologia a ponticelli mobili è tipica dell’Asia orientale (zheng cinese, koto giapponese ecc. sono varianti della stessa specie), mentre il qin è privo di ponticelli mobili. Il radicale dello zheng e del koto hanno fatto presupporre che il prototipo delle cetre est asiatiche si possa trovare nelle cetre idiocordi (strumento con corpo e corde ricavate dallo stesso pezzo di materiale) di bambù presenti, per esempio, in Madagascar  e nel sud-est asiatico. Oltre ai cordofoni pizzicati ci sono quelli sfregati come lo ajaeng coreano e il chengni della minoranza cinese degli Zhuang. Altri cordofoni sono i liuti (in cui si distinguono manico e cassa) a manico lungo o corto. I liuti a manico lungo con tre corde sono una realtà radicata in est Asia ad eccezione della Corea. Una sottotipologia è quella della viella o fidula, in cui le corde sono sfregate con un arco.

–          Aerofoni: fra gli aerofoni i flauti traversi possono avere il mirliton (membrana vibrante che determina un timbro ronzante) come accade in Cina e Corea o non averlo come accade in Giappone. I flauti dritti spesso hanno imboccatura a tacca. I flauti globulari e le siringhe, che hanno conosciuto una nuova rinascita in epoca moderna, appartenevano all’antichità. Molti strumenti ad ancia (dispositivo costituito da una lamina elastica singola o oppia applicata all’imboccatura dello strumento o in corrispondenza del flusso d’aria) interessano l’area: ci sono i due tipi di oboi, a canneggio cilindrico (come il guan cinese, che come gli altri di questa tipologia fa parte della famiglia diffusa in Armenia, Giappone)  e a canneggio conico (come il nallari coreano, che come gli altri di questa tipologia trova omologhi nel mondo arabo-islamico, tanto che il nome del suona cinese verrebbe dalla zurna araba o dal surnay centro asiatico). Spiccano gli organi a bocca nei repertori di corte, folklorici e delle minoranze, mentre rari sono trombe di conchiglia od ottone.

–          Membranofoni: gran parte di questa sezione è occupata dai tamburi classificati a seconda della forma della cassa. I più diffusi sono i tamburi cilindrici come il kodaiko giapponese, quelli a barile (puk coreano) e a clessidra (changgo coreano). Di uso ristretto sono quelli a cornice, più che altro presso le minoranze cinesi

–          Idiofoni: fra questi i gong (con o senza protuberanza centrale) sia singoli che in batterie. Alla musica rituale della Cina arcaica appartengono le batterie di litofoni e quelle di campane. I cimbali si ricollegano al mondo buddista e delle pratiche sciamaniche, i campanelli a quello sciamanico. I tamburi a fessura detti anche pesci di legno si ricollegano al buddismo. Sono molto diffusi anche i crotali in coppia libera o in gruppi, sono usati nelle musiche di corte, nelle diverse tradizioni teatrali, nelle danze popolari. Nelle minoranze entiche cinesi e giapponesi vengono usati gli scacciapensieri

In Asia orientale non hanno preso strada lo sviluppo di dispositivi per gli strumenti (come le chiavi di alcuni strumenti a fiato europei) se non in epoca moderna con il contatto con gli europei e questo perché bisognava avere il controllo diretto della produzione del suono senza che venisse mediata per permettere di padroneggiare le variazioni timbriche, dinamiche e microtonali in tutta libertà. In tutta l’Asia orientale ci sono pochi esempi di coro (se non nei canti liturgici buddisti, nel teatro no ecc.) che sono caratterizzati da unisono ed eterofonia. Una polivocalità articolata è tipica delle minoranze. Le scale sono numerose ma prevalgono le scale pentatoniche anemtoniche (imperniate su cinque suoni e caratterizzate dall’assenza dell’intervallo di semitono) ma ci sono anche quelle con semitoni o scale tritoniche o tetratoniche. In Cina e Giappone a livello metrico prevale l’organizzazione binaria mentre in Corea prevale quella ternaria. Il ritmo è spesso libero e non isocrono. Il tempo nelle corti è spesso molto lento a causa della ritualità e alla moderazione propugnata dal confucianesimo, mentre i repertori folkloristici possono avere andamenti veloci. La varietà singola del singolo strumento (sfumature microtonali e dinamiche) e l’uso del rumore hanno un ruolo rilevante: il lavoro sul timbro è il lavoro di estetica prevalente ed è applicata non solo al singolo strumento ma anche al singolo suono piuttosto che al profilo melodico. In molta musica è presente l’eterofonia, cioè la variazione  simultanea della stessa melodia da parte di diversi strumenti (non è quindi la fusione simultanea di più linee melodiche come avveniva nell’Europa settecentesca ma è la compresenza di più strumenti che tende alla tessitura che favorisce l’ascolto orizzontale dei brani). Con la sola eccezione della repubblica popolare democratica fi Corea, in tutti questi paesi orientali la maggior parte dei generi è stata sottoposta a una ricontestualizzazione: per esempio generi da corte o da letterati sono passati al palcoscenico. La musica è centrale nella ritualità religiosa e nelle ricorrenze del calendario tradizionale, ed è importante anche nei rapporti interpersonali, nell’educazione, come intrattenimento, nella propaganda politica o pubblicitaria o come icona identitaria. Nell’ottocento l’impatto con l’occidente ha provocato un movimento per la costituzione di un’inedita musica nazionale da opporre a quella occidentale, concetto ancora forte. Oggi in ognuno di questi paesi ci sono musiche diverse: popular music, musica classica occidentale, musica tradizionale ecc. Un rinnovato interesse per la tradizione è stato innescato da spinte nazionalistiche e dalla riscoperta delle radici di natura identitaria che hanno stimolato l’apparizione di alcuni generi neotradizionali di città e campagna. Se nelle metropoli di Corea del sud e Giappone domina la popular music st-asiatica  e anglo-americana mentre la musica occidentale trova spazio fra l’élite e l’alta borghesia urbana, le tradizioni hanno un ruolo in certi contesti specifici (rituali ecc.) o come arti da palcoscenico; le grandi città cinesi risuonano di popular music locale ed est-asiatica, solo recentemente anche anglo-americana, mentre sale da concerto e auditorium accolgono concerti di musica nazionale, classica occidentale o di scuola occidentale. In Corea del Nord si preferisce la musica classica occidentale e la popular music locale alle più generali influenze esterne. La concezione di musica cinese (yue, vista insieme alla danza e alla poesia recitat) legata al governo quindi alla ritualità anticamente si è estesa in tutti i paesi dell’estremo oriente presso le élite dominanti. La concezione  è stata realizzata tramite lo yayue (musica corretta, elegante), il genere rituale confuciano rielaborato ad ogni cambio dinastico: l’attuale concetto di yayue  è sotteso alla musica  rituale di cote e in alcune tradizioni folkloriche connesse a contesti rituali. Nello Yueji cinese appare il concetto di yue come inscindibile dal rito: i cuori (xin)umani vengono influenzati dalle cose esterne e così sviluppano il mero suono (sheng) che se reagisce con altri dà forma al modello yin che poi diventa yue, la musica virtuosa, che indurrebbe l’armonia che deve caratterizzare la società e l‘intero cosmo. La musica yue è essenziale per creare concordia: il rito e la musica hanno il fine di unificare il cuore/mente degli uomini e produrre armonia nella società. Ma oltre alla concezione confuciana ve ne erano altre anche antitetiche tipo quella daoista o moista (Mozi). Il vocabolo oggi usato come corrispondente del concetto occidentale di musica (yinyue in Cina, umak in Corea e ongaku in Giappone) è nato circa un secolo fa. La Cina ha avuto una grande influenza sui paesi limitrofi, infatti corrispondenze musicali erano presenti nelle varie corti dei vari paesi asiatici come l’estrema lentezza dei pezzi di corte, dovuta alla concezione confuciana di ritualità. Anche l’estetica timbrica del bayin, cioè la tassonomia organologica, appare in questi paesi tramite l’impianto eterofonico di molta musica asiatica e per il gusto del “rumore” tipico dei suoni “sporchi” dei flauti dotati di mirliton. Il confucianesimo ha influenzato anche le pose dei suonatori, soprattutto nel caso di strumenti suonati dai letterati i quali assumevano pose composte e inespressività del volto. Ancora oggi l’etichetta del suonatore gli prescrive di usare una certa gestualità simbolica antica e certe pratiche sonore che spesso lo stesso esecutore non comprende. Simbolismo è rintracciabile anche negli intarsi sugli strumenti stessi che possono riportare cavalli, draghi, pipistrelli e così via che sono assimilate a figure benefiche (nella cetra qin la parte bombata considerata yang simboleggia il cielo, la parte piatta/yin la terra e ogni volta che avviene l’esecuzione c’è l’unione di uomo-cielo-terra). Il fatto che sin almeno dal I-II secolo a.C. (nello Shiji di Sima Qian) appare un capitolo dedicato alla musica fa ben capire come essa sia stata considerata come parte essenziale dell’arte di governo attraverso l’ideologia confuciana. La letteratura cinese antica parla di calcolo delle altezze assolute, descrizione dei modi, repertorio rituale confuciano, musica strumentale e vocale ecc. Allo stesso modo appaiono concetti simili o uguali in Corea e Giappone. Con wusheng o wuyin si indicano l’insieme delle cinque altezze relative che costituiscono la scala pentatonica cinese classica. Questa scala può diventare eptatonica aggiungendo altre due altezze meno rilevanti dette bian sheng (suoni mutevoli). Accanto ai cinque suoni anticamente i teorici collocano le dodici altezze assolute (i lvlv), la cui prima di esse funge da diapason: queste altezze venivano elaborate in base al sistema dell’aumento e diminuzione di un terzo (sanfen sunyi) che porta al calcolo delle 12 altezze. L’opera di rettificazione che avveniva ad ogni cambio dinastico ha determinato il ricalcolo del diapason e quindi delle dodici altezze assolute diverse da dinastia a dinastia. Anche le altezze sono ricollegate a simbolismi come i cinque elementi, alle cinque direzioni, agli elementi della società; mentre le dodici altezze si ricollegano ai 12 mesi lunari, ai segni zodiacali ecc. Il termine “diao” indica  il concetto di scala modale/tonalità o la nozione di melodia. Una prima tassonomia cinese risalente forse all’VIII secolo a.C. è detta bayin ed ha come elemento discriminante il materiale impiegato nella costruzione dello strumento (ritenuto caratterizzante per il suono dello strumento stesso) e dalla suddivisione in 8 ripartizioni deriva il nome bayin (otto timbri). Questa classificazione si diffuse anche nelle corti dei paesi limitrofi la Cina e poi sostituita o affiancata da tassonomie locali. In epoca Qing appare il sistema alternativo fra i musicisti esterni alla corte che divisero gli strumenti in quattro categorie legate alla modalità di produzione del suono (soffiare, sfregare, pizzicare e battere). Nel Giappone del periodo Heian (794-1185) si incomincia ad applicare il modello tripartito “strumenti da pizzicare, in cui soffiare e da percuotere” rimasto i uso fino al XX secolo quando si inizia a usare la tripartizione occidentalizzata degli strumenti a corde, fiati e percussioni. In Corea la classificazione è attestata dal XVIII secolo ma oltre alla bayin ci sono classificazioni autoctone che dividono gli strumenti per generi: quelli usati nello aak, quelli del tangak e quelli dello hyangak. Nella musica aristocratica vi era e vi è ancora la suddivisione di musica di bambù (che indica gli strumenti a fiato) e musica di corde (cioè i cordofoni). Fra i musicisti dell’Asia Orientale vi erano due figure antitetiche: i conoscitori e i professionisti: i primi erano i più stimati perché non si limitavano alla mera tecnica esecutiva, ma le figure professionali, ad eccezione di quelle legate alla corte e alle musiche rituali, occupavano un gradino basso nella società (cosa che li accomuna ad attori, danzatori, acrobati ecc.). Le donne potevano avere una conoscenza musicale come nel caso delle yueji (o yiji o jinv) le geisha o le kisaeng anche se in Giappone e, in alcuni periodi, in Cina, le donne non potevano esibirsi in pubblico. Con la caduta delle corti orientali si ha il ridimensionamento del ruolo del conoscitore dando più spazio al dilettante (colui che imita i professionisti) e il contatto con l’occidente ha causato la spaccatura fra esecutore e compositore, l’ultimo dei quali inesistente prima di quel momento in Asia. I futuri professionisti di musiche tradizionali si formano principalmente in istituzioni di tipo occidentale o ad esse  ispirate (conservatori, università, istituzioni nazionali) a cui si possono unire studenti di musica classica occidentale o che studiano anche musica occidentale. Oggi gli artisti designati “tesoro nazionale vivente” in Giappone e “bene culturale vivente in Corea” ricevono uno stipendio per addestrare i ragazzi nelle strutture dedicate. In Cina l’attenzione per la conservazione delle musiche tradizionali è più recente, ma dalla fondazione della Repubblica Popolare nel ’49 alcuni musicisti popolari sono stati reclutati come maestri da conservatori e compagnie di stato. I ragazzi sono partecipi anche del fenomeno delle musiche neotradizionali in Corea e Giappone. Le donne hanno acquistato sempre più importanza soprattutto nei repertori solistici cinesi (di qin, zheng, pipa) ma anche in Giappone dove la metà dei musicisti è donna e si può parlare di stile femminile.in Corea i canti folklorici eseguiti da donne sono ritenuti superiori. Se in occidente è normale parlare di musica come espressione della propria interiorità e della propria intellettualità non si può dire lo stesso della musica orientale di un tempo, dove sono rare le figure ricordate come autori di brani significativi per un certo repertorio che comunque comprende anche brani solo da eseguire in quanto tradizionali. La trasmissione del sapere musicale in oriente è avvenuta fino alla modernizzazione attraverso il rapporto diretto maestro-discepolo spesso per semplice mimesi, metodo che nei luoghi elitari, di culto e nelle corti era integrato da forme di notazione scritte semiografe spesso imperniate sul sistema dei sinogrammi. Alcune forme di notazione sono legate ad un solo genere o strumento (come nel caso del jianzipu nato nelXI secolo ed utilizzato per il qin: indica qualche corda pizzicare, come pizzicare la corda e il suono da produrre) o a più strumenti (come nel caso del gongchepu in cui si indicano le altezze). Oltre alla trasmissione mimetico-orale e quella scritta c’era uno strumento pedagogico, le notazioni orali, cioè una sorta di solfeggio cantato in cui esercitarsi prima di passare all’esecuzione strumentale. Oggi alcuni generi hanno adottato il pentagramma che però in alcuni casi (soprattutto nei generi folklorici) ha determinato la cristallizzazione dei repertori. Ma se in Cina è apprezzata l’improvvisazione in Giappone lo è l’imitazione dei repertori poiché il repertorio appartiene alla scuola come gruppo, non ad un solo individuo. In Corea del sud invece la trasmissione del repertorio è rilevante ma è fondamentale la capacità dell’allievo di produrre nuovi ornamenti e sfumature. Fra le finalità degli uffici della musica era compresa quella di formare i professionisti legati alle corti. Con la modernizzazione questi sono stati trasformati in istituzioni di tipo occidentale o sostituiti da esse: questi luoghi sono aperti a tutti i generi tradizionali, non solo a quelli connessi alle élite storiche. In Giappone le scuole sono dominate dal sistema degli iemoto, una struttura piramidale gerarchica che dà totale controllo a caposcuola. Organizzazioni significative per le tradizioni folkloriche giapponesi sono gli attuali hozonkai (società di conservazione), gruppi locali che si dedicano alla trasmissione di un genere e di inserirlo in contesti rituali tradizionali. In Cina sono attestate tradizioni di differenti scuole per alcuni generi strumentali cinesi (come nel caso del qin o dello zheng). A Taiwan i guoyue o guoyuehui ( associazioni della musica nazionale) sono le organizzazioni cinesi e taiwanesi in cui si uniscono gli amatori che si dedicano all’esecuzione e allo studio di un certo genere.

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Bibliografia:

Daniele Sestili, Musica e Tradizione in Asia Orientale, gli scenari contemporanei di Cina, Corea e Giappone, ed. Squilibri.

appunti del prof. Sestili (Mondo arabo)

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