La dottrina Buddhista in generale

Il riconoscimento reciproco tra buddisti di diverse zone dell’Asia è avvenuto con una certa frequenza solo nel secolo scorso con il riconoscimento del buddismo come “religione universale”. Il buddhismo, quindi, non è un’entità religiosa univoca ma possiamo considerarla tale se prendiamo in riferimento quei punti che il Buddha spiegò ai suoi seguaci ai suoi tempi (e che vengono considerati da lui stesso, non una scoperta, ma il ritrovo di un sentiero perduto dopo che altri buddha lo ritrovarono e che in futuro, sparito il ricordo di questo Buddha e dei suoi insegnamenti [o Dharma vinaya], riscopriranno altri Buddha). Uno dei primi tentativi di unificare il buddhismo sotto un unico credo si deve al teosofo Henry Steel Olcott che nel 1891 redasse una lista di 14 principi generali che con un certo sforzo convinse a far firmare dai vari leader buddisti cingalesi, birmani e giapponesi. Ma ancora oggi sono molti i punti del buddhismo da chiarire (come la nascita del Buddha e delle varie correnti) e molte discipline sono addirittura contrastanti. Dharma (spesso tradotto “legge”) viene dalla radice sanscrita che significa “sostenere” ed ha ampi contenuti (recitazione, pellegrinaggio, copiatura, meditazione esorcizzazione…): spesso tramandato e diffuso attraverso le storie buddhiste. Un buddista (o bauddha) è una persona che prende rifugio nei tre gioielli: il Buddha, il dharma, il sangha (interpretato in vari modi: comunità composta da chi seguì la via del Buddha raggiungendo il nirvana, comunità di monaci e monache o i seguaci del Buddha in generale). I primi monaci buddisti vivevano all’aria aperta e di elemosina e solo successivamente, con la crescita del movimento, fu necessario un codice di comportamento (con regole che secondo la tradizione postulò lo stesso Buddha) e un luogo più stabile che veniva donato dai laici ai monaci. L’ordine delle monache sarebbe nato dalle donne abbandonate dai rispettivi mariti che avevano preso i voti (non prima di averlo domandato ai genitori) ma le regole per le monache sarebbero state più severe rispetto a quelle dei monaci e questo avrebbe favorito la scomparsa dell’ordine femminile in molte parti dell’Asia.

L’UNIVERSO:

è senza inizio ed è creato dal karma. Gli esseri dell’universo sono nati e rinati senza inizio sotto forma di dèi, semidèi, uomini, animali, fantasmi ed esseri infernali e l’insieme delle loro azioni creano il regno in cui vivono. L’universo si evolve continuamente seguendo quattro periodi: creazione (del vento del karma), durata (periodo in cui vivono gli esseri), distruzione (da parte dei 7 soli) e nulla. I primi esseri umani avrebbero vissuto 80 mila anni senza aver bisogno di cibo e di riprodursi (potevano anche volare) ma quando incominciarono a mangiare la sostanza schiumosa che ricopriva la terra avrebbero incominciato ad avere sempre più bisogno di cibo e di riprodursi e da qui iniziò la società umana. L’uomo col passare del tempo sarebbe invecchiato sempre prima raggiungendo l’età media di un secolo: a questo punto comparve il Buddha. L’arco della vita umana continuerà a ridursi fino a raggiungere l’età media di 10 anni e a quel punto riprenderà a crescere raggiungendo di nuovo gli 80 mila anni e a quel punto apparirà il prossimo Buddha, Maitreya. Raggiunti i 20 cicli da 10 a 80mila anni l’universo verrà distrutto. Nel frattempo l’umanità vive su un mondo piatto al cui centro sta il monte piramidale Meru con 4 facce circondato da 7 catene concentriche oltre le quali si estende un oceano con continenti-isole collocati ai 4 punti cardinali. Questo mondo ospita 6 regni (i regni del desiderio) retti dal desiderio: il è il regno degli dèi (o cielo dei 33) popolato dagli antichi dèi dell’India e capeggiato dal dio Indra (gli dèi hanno vite lunghissime ma non sono immortali): sopra al regno degli dèi vi sono il regno della forma (dove gli esseri continuano ad essere attaccati alla forma ma sono liberi dal desiderio) e il regno del senza forma (i cui dèi sono senza forma e corrispondono a stati profondi di concentrazione della coscienza) ma anche qui gli esseri sono legati al samsara (letteralmente “peregrinazione”=ciclo della rinascita); il regno è abitato dai semidèi; il quello degli uomini; il quello degli animali; il quello dei fantasmi (alcuni dei quali abitano anche nel regno umano) che sono esseri affamati con pance gonfie (forse umani defunti) ma che non riescono mai a nutrirsi; il è quello infernale suddiviso in 8 inferni caldi (fra cui l’inferno “rivivi” in cui si sta in una situazione di lotta continua), 8 inferni freddi, 4 contigui (in cui si passa dopo essere stati o nell’inferno freddo o in quello caldo) ed altri di minore importanza.

Credere all’apparenza delle cose e del mondo come lo percepiamo è fonte di sofferenza. Inoltre niente è permanente, autonomo e indivisibile. Il Buddha fornisce un’analisi degli elementi costituitivi della mente e del corpo dividendoli in 5 gruppi (o skandha):

1)      la forma: comprende i 5 sensi ma anche una materia più sottile e impercettibile

2)      la sensazione: accompagna ogni momento della coscienza ed è di tre tipi (piacevole, dolorosa, neutra)

3)      la discriminazione: l’innata capacità di distinguere tra oggetti diversi (accompagna sempre la coscienza)

4)      la coscienza: è di sei tipi (visiva, uditiva, olfattiva, del gusto, tattile e mentale)

5)      è l’insieme dei precedenti 4 skandha uniti ad altri fattori emotivi e istintivi e ad altri intenzionali (sonno, pentimento, indagine, analisi).

Questi skandha costituiscono quella che chiamiamo “persona” ed ognuno di essi è impermanente (non dura più di un istante). La persona è quindi un processo ed una catena di cause ed effetti mossi dal karma e credere ad un unità che sia mentale, corporale e presente nel mondo non fa altro che aggiungere sofferenza e creare karma negativo che si annulla solo se si percepisce l’assenza delle cose. L’unica cosa che rimane della persona (anche se in continuo mutamento) è la coscienza che abbandona il corpo alla morte per appropriarsene di uno nuovo con la rinascita. Con la nascita dei “sutra della perfezione della saggezza” (apparsi con il movimento Mahayana, I-II sec. d.C. circa) si ha l’esaltazione della coscienza della vacuità (=sunyata). Uno di questi sutra è quello scritto da Nagarjuna, il “Trattato sulla via di mezzo”, che affronta temi (e dimostra attraverso negazioni) come la vacuità, il movimento, la visione, il karma, la sofferenza, la liberazione, le 4 nobili verità e la buddhità. Per Nagarjuna, la vacuità non è la negazione dell’esistenza, ma l’assenza di un tipo di esistenza dipendente da altri fattori, cioè tutto viene in esistenza in dipendenza di qualcos’altro. La vacuità consente il cambiamento e la trasformazione soprattutto dalla mente ignorante a quella saggia, dal samsara (verità convenzionale, che si percepisce) alla buddhità (verità ultima, quella che sta dietro ogni cosa, la vera natura della forma). Ma la falsa apparenza delle verità convenzionali non le rende del tutto inesistenti, infatti, senza la verità convenzionale non sarebbe conoscibile la verità ultima, ed è proprio la categoria delle verità convenzionali che comprende tutti gli elementi più salutari della via buddista compreso il Buddha. Ad ogni modo, la visione buddista di Nagarjuna non era quella più diffusa in India e un’altra visione della realtà era sostenuta dagli yogacara e da Asanga (IV sec d.C.). Essi sostenevano che la percezione cambia da soggetto a soggetto. Molti altri sono i punti di vista sulla realtà e non solo. Il samara, secondo alcuni, non ha fine mentre secondo altri, essendo creato dall’ignoranza (dalla visione della verità convenzionale) avrà fine solo quando la saggezza avrà cancellato del tutto l’ignoranza.

IL BUDDHA:

reincarnazione del principe Vessantara che donò figli e moglie.

Nacque più o meno fra il V-IV secolo a.C. nel Nepal meridionale come figlio di un re. La madre sognò che un elefante bianco le entrava nel ventre e Siddharta (che significa “colui che raggiunge il suo scopo”) Gautama nacque dal suo fianco destro e incominciò subito a camminare (sotto i suoi piedi nascevano fiori di loto) annunciando che quella sarebbe stata la sua ultima nascita. Data la singolarità del figlio il padre ne fece predire il futuro da astrologi che dissero che sarebbe diventato un grande asceta. Pensando che fosse la depressione a portare alla vita religiosa il re cercò di tenere il figlio il più lontano possibile dall’infelicità. Siddharta visse nel suo palazzo fino a 29 anni senza essere curioso del mondo esterno (perché circondato da infiniti piaceri e protezione) fino a che chiese di fare un giro per la città. Il re fece il possibile per non mostrare la morte, la malattia e l’infelicità al figlio ma un vecchio sfuggì alle guardie e rimase curvo mentre il principe passava. Siddharta chiese al cocchiere cosa fosse quello che gli stesse davanti e il cocchiere spiegò che era un vecchio e che tutti avrebbero fatto quella fine. Tempo dopo il principe vide morti, malati e un asceta e decise di seguire la via dell’ascetismo per ricercare uno stato al di là della nascita e della morte. Intanto nacque il figlio che chiamò Rahula (=impedimento). Girovagò 6 anni e seguì maestri e asceti che praticavano l’automortificazione del corpo ma fece pochi progressi constatando che la mortificazione della carne non porta a niente, quindi si sedette ai piedi di un albero e decise di non alzarsi finché non avesse raggiunto il suo scopo. Ebbe la visione delle sue vite passate (comprese il samsara), il funzionamento del karma, e infine si trasformò in un buddha. Rimase sotto l’albero altre 7 settimane. Buddha non sapeva se diffondere la conoscenza che ora possedeva. Il dio Bramha lo sollecitò all’insegnamento. Decise di recarsi dagli asceti automortificanti agli inizi del suo cammino. Gli espose le 4 nobili verità (o meglio “le 4 verità per il nobile, colui che ha visto il nirvana”):

1)      la verità della sofferenza (dolore, piacere, da condizionamento dalle azioni passate);

2)      la verità del karma (ogni azione ha un peso diverso che dipende dall’oggetto dell’azione e dall’intensità della motivazione) generato da una qualsiasi azione in una qualsiasi vita passata (perché è lo stato mentale al momento della morte che sceglie l’azione specifica che funge da causa per la vita futura). Per mettere fine al samsara mosso dal karma bisogna abbattere i tre veleni: desiderio, odio, ignoranza (=fraintendimento della realtà).

3)      La verità del nirvana (=assenza di sofferenza nel presente e nel futuro cancellata dalle afflizioni che la generavano) è di due tipi: a) nirvana con residuo (come quello del Buddha) che elimina i semi per la formazione del karma futuro ma che non ha distrutto quelli di quello che muove la vita attuale che quindi continua ad essere vissuta (come l’ultima vita) fino alla morte; b) nirvana senza residuo (o nirvana finale) che si raggiunge immediatamente (lasciando la vita quindi);

4)      La verità del sentiero per il nirvana. È descritto in molti modi ma la più famosa descrizione lo divide in tre tappe di addestramento: a) all’etica (=sila), cioè all’astensione dalle azioni non virtuose di corpo e parola; b) alla meditazione (=samadhi) che si pratica fissando un oggetto per condurre il pensiero (disordinato) sotto controllo c) la saggezza (=prajna) che si raggiunge con la consapevolezza dell’assenza di un sé. Questa verità viene formulata anche come l’ottuplice sentiero (retta parola, retta azione, retti mezzi di sostentamento..) che rientrano tutti nei tre addestramenti dell’etica, della meditazione e della saggezza.

Nelle tradizioni più antiche si dice che chi raggiunge il nirvana attraversa 4 stadi: il (una prima comprensione dell’assenza di un sé) distrugge i semi del karma che porta alla nascita come essere animale, fantasma o essere infernale e si rinascerà al massimo altre 7 volte; il è quello di colui che rinascerà solo un’altra volta (nel regno del desiderio o nel regno della forma); il è quello di colui che non farà ritorno nel regno del desiderio; il è quello dell’arhat, colui che entra nel nirvana al momento della morte (come accadde per Buddha).  

Il Buddha dedicò i 45 anni successivi dalla sua illuminazione ad insegnare il dharma spostandosi di villaggio in villaggio nell’India nord-orientale. Diede istruzioni per la sua cremazione e perché i suoi discepoli distribuissero le sue reliquie tra vari gruppi di fedeli che le avrebbero conservate in reliquiari semisferici chiamati stupa (alcuni di questi stupa vennero eretti anche per i più importanti discepoli del Buddha). Circa 4 secoli dopo la morte di Buddha incominciano a comparire testi, i sutra mahayana,  in riferimento al Mahayana (grande veicolo) che avrebbe assunto un ruolo centrale in Cina, Tibet, Mongolia, Corea e Giappone. È difficile dire in che modo si sviluppò questo movimento ma i suoi testi si presentavano come parola autentica del Buddha (anche se apparsi secoli dopo la sua morte). Questi testi presentano nuove interpretazioni sul buddhismo (per esempio, nel Sutra del Loto, si dice che il Buddha avrebbe solo recitato il raggiungimento del nirvana che invece avrebbe già raggiunto in passato per ispirare e stimolare alla ricerca senza arresa). Se la scolastica antica (Hinayana, piccolo veicolo) spiega che il Buddha aveva un corpo fisico e uno “fatto di mente”(o “di emanazione” che veniva usato per fare i miracoli) il Mahayana spiega che il Buddha apparve solo come corpo di emanazione. Al problema di cosa dovessero adorare i discepoli del Buddha venne coniato un corpo metaforico inteso come raccolta di tutte le qualità del Buddha: saggezza, compassione, fermezza e pazienza (che nel loro insieme vennero chiamate dharmakaya). Assieme ai vari corpi del buddha, i sutra mahayana rivelano l’esistenza di molteplici universi, ognuno con un suo proprio buddha. Secondo il Mahayana, inoltre, il nirvana sarebbe solo una tappa per arrivare alla mèta finale. Dalle scuole del buddhismo indiano, nell’epoca del Sutra del Loto, erano accettati tre differenti sentieri: 1) quello dello sravaka (=uditore), cioè colui che udì l’insegnamento del Buddha e lo mise in pratica passando i tre stadi (entrata nella corrente, colui che torna una sola volta e colui che non fa ritorno) di meditazione che culminavano con il diventare un arhat; 2) quello del pratyekabuddha (=colui che è illuminato da sé) seguaci che praticano la meditazione in solitudine (perché appartenenti ad epoche senza Buddha) e quindi raggiungono lo stadio di sravaka senza seguire gli insegnamenti del Buddha; 3) quello del bodhisattva, colui che viene a contatto con gli insegnamenti del buddha e diventa arhat ma sceglie di posticipare la sua liberazione aiutando anche gli altri a raggiungerla. Per fare questo il bodhisattva continua il ciclo del samsara posticipando la sua liberazione per far si che gli insegnamenti del Buddha vengano diffusi anche in un epoca in cui si saranno dimenticati i suoi insegnamenti. Nel Sutra del Loto Buddha afferma che la via che seguiranno tutti è quella di bodhisattva e quindi, seguentemente, raggiungeranno la buddhità. Il Mahayana (che non è una scuola specifica o un movimento preciso) si presenta come un’aggiunta generica all’Hinayana (da cui nacquero tante altre correnti quali il Theravada diffuso soprattutto in Sri Lanka).

Per diventare bodhisattva bisogna sviluppare il bodhicitta (=aspirazione all’illuminazione), l’impegno di raggiungere la buddhità per liberare tutti gli esseri senzienti dalla sofferenza, impegno che si prende sotto forma di voto. L’addestramento a bodhisattva prevede la visione di tutti gli essere viventi come nostra madre nelle vite passate. Il poeta indiano Santiveda (VIII sec. d.C.) scrisse sulla compassione del bodhisattva dicendo che il modo migliore di liberarsi dal samsara è di  liberarsi dall’egoismo e di dedicarsi all’altruismo (come decise di fare Buddha). Per liberarsi dai tre veleni e dall’illusorietà delle cose che impedisce la conoscenza simultanea dell’universo, i bodhisattva, durante le proprie vite (nel samsara) cerca di sviluppare delle virtù dette “perfezioni” che sono: dare, etica (mantenimento del voto), pazienza, sforzo (capacità all’allontanamento dello scoraggiamento), concentrazione e saggezza. Durante il suo cammino il bodhisattva acquisisce poteri straordinari. I bodhisattva non sono modelli da emulare ma da invocare (uno dei più importanti è Avalokitesvara, conosciuto in Cina come Guanyin, ma anche la bodhisattva Tara). La cultura Mahayana, quindi, vuole che tutti gli esseri siano potenziali buddha (tranne gli icchantika, esseri destinati a vagare nel samsara per natura-anche se molte correnti, soprattutto cinesi,  ritengono che anche questi esseri di grande desiderio possano raggiungere la buddhità).

IL DHARMA:

essendo stati scritti secoli dopo la morte di budda, i sutra non sono attendibili come fonti di ciò che disse il Buddha. Infatti molti testi sono resoconti di ciò che egli e alcuni dei suoi discepoli più noti dissero. Con la nascita del Mahayana, gli originali sutra (molto brevi perché considerati aforismi) si andarono allungando per estensione e iniziavano spesso con “Così ho udito” facendosi promotori della parola “vera” che uscì dalle labbra di Buddha ed erano, quindi, attribuiti a fonti attendibili di Ananda o altri bodhisattva (ma anche anonimi). I sutra venivano ordinati per lunghezza e solo più tardi vennero ordinati per argomento. Con il Mahayana i sutra divennero oggetto (oltre che di recitazione e culto) di riflessione e analisi filosofica. Altro problema relativo ai sutra è cosa considerare parola del Buddha e cosa non e soprattutto cosa si può considerare provvisorio (cioè adattato dal Budha a situazioni particolari e specifiche ma non rivolto a tutti gli uomini) e cosa definitivo (il dharma esteso a tutti). La messa in moto della ruota del dharma è il primo insegnamento delle 4 nobili verità ai cinque asceti nel parco dei cervi di Sarnath. Molti furono i contrasti fra scuole buddiste diverse ma tanti avvennero anche all’interno di una stessa scuola riguardo l’autenticità dei sutra (altre complicazioni, oltre a quelle dell’ordine cronologico dei sutra che erano proporzionali all’autenticità, era l’ordine in cui questi testi erano apparsi in paesi come la Cina, dove il buddhismo si espanse per le vie commerciali e in modo disordinato e accidentale). In generale vengono considerati definitivi quelli che parlano della vacuità. Uno dei dubbi sulla parola del Buddha rimane il veicolo per raggiungere il nirvana: alcuni sostengono che sono tre i veicoli (sravaka, pratyekabuddha e bodhisattva) altri che l’unico veicolo è quello del bodhisattva (e gli arhat sarebbero considerati coloro che raggiunsero il nirvana senza aver eliminato del tutto la mente e il corpo e nascendo, quindi, in una terra pura ma solo seguentemente raggiungendo il nirvana). La recitazione dei sutra e dei tantra era considerata efficace da tutto il mondo buddista dalla tradizione indiana per la quale il suono aveva un forte potere. In seguito alla nascita di sutra particolarmente lunghi si andarono a sviluppare dei testi che contenevano il condensato significativo di quei sutra, questi testi erano mantra (formule da recitare per liberare la mente e molto efficaci anche concretamente) chiamati dharani (molto simili ai primi sutra che erano molto brevi). Di grande importanza evocativa è il Sutra del Cuore, ritenuto l’essenza di tutti gli altri (molto famoso è anche il Sutra del Loto per i suoi poteri).

LA VITA MONASTICA:

mentre si ritiene che i primi tempi il Buddha e i primi monaci si spostassero frequentemente, presto incominciarono a stabilirsi durante la stagione delle piogge e ricchi patrocinatori facevano costruire loro dei ripari che ben presto divennero i primi monasteri, abitati tutto l’anno. Alcuni monaci continuarono la loro missione itinerante ma dovevano tornare al monastero almeno 2 volte al mese per la confessione e la recita comune dei voti. Monaci e monache potevano far parte di qualsiasi casta e le specializzazioni che ricoprivano erano numerose e suddivise. Inoltre esistevano varie linee di proprietà nei monasteri: alcuni beni erano di proprietà dello stupa, altri appartenevano a tutto il sangha ed altri ai singoli monaci. Ma i monaci non erano e non sono isolati dal mondo laico, anzi, monaci e laicato sono strettamente connessi e dipendenti l’uno dall’altro.  I monaci erano spesso obbligati non solo ad accettare doni dai laici ma anche ad usarli, ne avessero bisogno o no, perché al donatore ne affluisse il merito. I monaci fanno ciò che i laici non possono fare perché non saprebbero come farlo (recitare testi, rimanere celibi, celebrare riti come quello funebre, meditare) e i laici fanno ciò che ai monaci è proibito fare (lavorare la terra, occuparsi degli affari, allevare figli). Il Buddha avrebbe spiegato le regole monastiche (che poi avrebbero costituito il complesso del Vinaya) a poco a poco. Al momento dell’ordinazione i novizi prendono 5 voti (non uccidere nessun essere, non rubare, non tenere una scorretta condotta sessuale, non mentire riguardo i propri ottenimenti spirituali, non far uso di intossicanti) a cui se ne aggiungeranno altri durante la piena ordinazione. I voti sono di natura privata (norme di comportamento, amministrazione monastero e sangha..) e pubblica (cerimonie, altre norme di comportamento..). I monaci che aderivano al Mahayana prendevano ulteriori voti, quelli del bodhisattva. Ogni monastero si mantiene in modo diverso: qualcuno ha sovvenzioni statali, qualcuno si mantiene attraverso le cerimonie pubbliche, altri grazie a donazioni e così via. Alcuni monasteri erano importanti centri culturali ed educativi. Le donne, entrate nel corpo monastico con difficoltà (il Buddha non sarebbe stato particolarmente convinto nel voler far partecipare anche le donne alla vita monastica), sono considerate inferiori ai monaci (questo per via di certe tradizioni indiane con cui, però, il Buddha avrebbe aderito solo in parte dopo aver ammesso un ordine femminile) e sono molti i testi buddisti che abbondano di descrizioni negative delle donne ( la sozzura del corpo femminile è descritta con abbondanza di particolari). I sangha femminili si sono estinti in vari paesi asiatici ma sopravvivono ancora in Cina, Corea e Vietnam mentre in Tibet non sono mai esistiti.

LA PRATICA LAICA:

anche i laici posso prendere i voti per accumulare meglio i meriti. L’atto principale dei laici buddisti è la carità verso un oggetto puro, quale il sangha, che ha il potere di trasformare i beni materiali del presente in felicità futura. Non essendo stati presenti nell’epoca di Buddha, la pratica laica consente di rinascere al tempo del prossimo buddha, Maitreya, occasione da non perdere dato che nascere sotto forma di essere umano è raro. Recitazione (da parte dei monaci) e copiatura (aperta a tutti) dei sutra costituiscono pratiche particolarmente potenti e positive per il karma proprio e altrui. Meta più ambita nel pellegrinaggio è Bodhgaya, il luogo dell’illuminazione del Buddha, ma ogni area del mondo buddista ha le sue mete specifiche di pellegrinaggio: templi, statue, monasteri, montagne sacre o caverne un tempo abitati da santi. In Tibet, dal VIII secolo, si è diffusa la pratica del chiedere aiuto ai “protettori”, ex demoni locali che furono sconfitti da potenti bodhisattva, che si impegnarono a proteggere il buddhismo e i buddisti per non essere uccisi. Questi protettori vengono invocati per problemi più mondani (e per cui non vengono invocati certo i bodhisattva) e in Tibet sono famose mete di pellegrinaggio anche i luoghi appartenenti a questi spiriti benigni.

 

L’ILLUMINAZIONE:

alcuni dicono che l’illuminazione possa avvenire all’improvviso, indotta da qualcosa di molto semplice; altri che è il risultato di un lungo percorso (di vite), altri ancora che siamo tutti già illuminati ma dobbiamo diventarne consapevoli. Ci sono varie tecniche per raggiungere l’illuminazione: repressione del desiderio, rapporti sessuali, analisi intellettuale e così via. Raramente viene descritta come uno stato che si autoconvalida, quindi gli illuminati raramente sapevano di aver raggiunto l’illuminazione. In molti testi si afferma che la concentrazione (=samadhi) profonda è essenziale e che oltre a portare al nirvana dona una serie di poteri sovrannaturali. Per ottenere questa concentrazione i testi theravada consigliano di porgere forte attenzione su un oggetto (è possibile su 40 tipi di oggetto). Cinque secoli dopo il Mahayana nacque il movimento Vajrayana (veicolo del diamante, o del fulmine) chiamato, in occidente, tantra buddista. Con “tantra” si indicano una serie di manuali di riti o una serie di istruzioni ma sono anche considerati insegnamenti del Buddha (sutra impartiti segretamente ad un gruppo di discepoli). Le origini del Vajrayana (o Mantrayana) sono ancora più sconosciute di quelle del Mahayana. Questa corrente si prefigge come meta il raggiungimento del nirvana attraverso un percorso più breve di quello del Mahayana arrivando ad acquisire vari poteri sovrannaturali (il cui raggiungimento, a volte, sembra abbia maggiore importanza di quello della buddhità). Se il potere del monaco derivava dalla purezza dall’astenersi dalle attività dei laici, quello dello yogin tantrico deriva dalla trasgressione del comportamento puro attraverso azioni che violano i comportamenti monastici  e la contaminazione secondo il sistema della caste. Come l’arhat è l’ideale del buddhismo principale (Hinayana) e il bodhisattva di quello Mahayana, il mahasiddha è quello del tantra buddista indiano. I mahasiddha sono esseri illuminati e trasgressori perché hanno ormai raggiunto uno stato di superamento delle leggi naturali per cui possono manipolare il mondo senza essere soggetti alle leggi karmiche. La pratica tantrica produrrebbe due tipi di poteri (=siddhi): i siddhi mondani e quelli sovramondani della buddhità. Il Vajrayana non era un veicolo separato al Mahayana ma una forma alternativa e ritenuto superiore (anche perché utilizza un metodo più semplice, quello per cui attraverso il desiderio si arriva alla santità). Il sentiero tantrico viene presentato come il completamento (e perfezionamento) del sentiero dei sutra (le cui prime tappe sono Hinayana e Mahayana) fornendo la via che porta alla meta finale (in un periodo più breve): la buddhità. Anche per il Vajrayana ci sono riti di iniziazione che partono col prendere i voti del bodhisattva e finisce con il rito del mandala (=cerchio, rappresentazione di un palazzo di un Buddha, un mondo più reale, non ordinario). Le pratiche quotidiane tantriche si chiamano sadhana e sono a schema fisso (di solito ci si concentra sull’immagine della luce irradiata sul proprio corpo e dopo una serie di passaggi, presenti anche nel buddismo principale, si arriva alla creazione del mandale). Il metodo sessuale tantrico è la pratica che sfrutta il desiderio per raggiungere il sentiero (l’uomo rappresenta il metodo e la donna la saggezza).

Una diffusa dottrina buddista è quella  per cui i buddha vanno e vengono e per cui un nuovo buddha compare nel mondo solo quando gli insegnamenti di quello precedente sono scomparsi. La paura per il declino dell’ordine monastico ha indotto alcuni monaci cinesi a sostenere che le elemosine andavano fatte ai poveri, agli ammalati e agli anziani e non ai monaci. La principale reazione alla scomparsa del dharma in Asia orientale è la pratica della Terra Pura. Secondo questa pratica, nel periodo di declino, sarebbe possibile seguire il sentiero di grandi arhat e bodhisattva invocando e  pronunciando il nome di Amitabha (un buddha), che porterebbe a nascere nella Terra della beatitudine dopo la morte (a seconda dell’intensità, numero di volte e devozione della persona, quindi, si potevano raggiungere vari livelli di merito).  Il Madhyamaka afferma che niente nell’universo possiede un valore intrinseco e che tutte le caratteristiche sono proiezioni soggettive che non appartengono all’oggetto, quindi, meditare sulla vacuità significa procedere per questo tipo di analisi.

 

 

Riassunto personale di "Che cos’è il Buddhismo" di Donald Lopez 

 

 

 

 

 

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