Storia e tratti generali del Tibet (prima parte)

Il nome del Tibet è probabilmente il risultato di sovrapposizione di termini utilizzati da vari popoli per designare questo paese. I tibetani chiamano il loro paese Bod (che nel dialetto centrale è pronunciato Po’). I loro vicini indiani lo chiamavano Bhota o Bhauta mentre i cinesi lo rendevano con Fan (termine usato per designare i “barbari”) presto diventato Tufan, simile a Tufa, una popolazione turco-mongola. Dal turco Tuput i musulmani hanno tradotto con Tubbet o Tibbat che presto venne assimilato dagli esploratori medievali che lo trasformarono in Tibet.

Il popolo tibetano avrebbe origine dalle tribù nomadi Qiang (o Chiang), in particolare dal ramo dei Tufan, specializzate nell’allevamento, che si situarono presto nello Yarlung. Queste tribù si sarebbero poi mischiate ad altre tribù nomadi e locali (come quelli del “paese delle donne” e il paese di Fu entrabi situati nel Tibet orientale, il Kham ma assorbirono anche il popolo degli Yuezhi di origine indoeuropea) andando a formare il popolo tibetano. In seguito queste tribù, stanziate principalmente nella parte centro orientale ( come nel caso del “paese delle donne” e quello di Fu) e settentrionale (come per le tribù Sumpa e Azha) del paese si sarebbero spostate verso sud dove, insieme alle vallate del centro, adottarono un tipo di vita parzialmente agricolo e quindi più sedentario nel quale andò a formarsi l’aristocrazia. A sud del paese, nelle montagne boscose dell’Himalaya, c’erano popolazioni non organizzate in stati chiamate generalmente Mon. I tibetani devono molte influenze di tipo culturale anche da paesi confinanti quali il Nepal (a sud), il Khotan (a nord), il Suvarnagotra (=razza dell’oro, conosciuto anche come “paese delle donne dell’ovest) a sua volta confinante con altri paesi (fra cui l’Uddiyana da cui sarebbe nato il lamaismo) da cui sono giunti elementi di civiltà come greci, indiani ed iraniani. Ogni capo aveva i suoi vassalli nobili i quali erano serviti da servi e sudditi: si praticava l’agricoltura e si allevavano pecore ed altro bestiame. Verso il VII secolo alcuni capi si accordarono per sostenere come loro sovrano il capo che governava nella valle di Yarlung facendone un re noto con il nome di sPurgyal bTsan-po (con bTsan-po= potente, titolo che andò ad indicare il re tibetano). Questo regno del Tibet centrale fu chiamato Bod (di sPurgyal), nome con cui fu, da questo momento in poi, designato il Tibet. Il re aveva configurazione sacra, si pensava fosse disceso dallo zenit per mezzo di una corda (mu o phya) e atterrando sulla montagna di Yar-lha-sham-po nello Yarlung: lì sarebbe stato accolto da dodici uomini che decisero di farlo re (poiché era disceso dal cielo) e lo portarono in spalla su una portantina (fu per questo anche chiamato il “potente portato a spalla”). Essendo figli di dèi si riteneva che i primi re fossero ritornati in cielo per mezzo della stessa corda o scala che li aveva portati in terra (e che partiva dalla loro testa). Il primo re ad aver lasciato il suo corpo in terra sarebbe stato Dri-gum (= Ucciso per profanazione), il sesto discendente dal primo re tibetano, che avrebbe sfidato un suddito e che si sarebbe accidentalmente tagliato la corda celeste (che partiva da capo al cielo) da solo durante il combattimento. Il cimitero dei re è situato a ‘Phyong-rgyas, non lontano dal castello di Yum-bu-blasgang.

Dal VII secolo il Tibet apparve nella scena internazionale e si contraddistinse per circa tre secoli per la sua abilità in campo militare e per la sua espansione. Ad est c’era la Cina dei Tang, a nord popolazione di lingua indoeuropea e religione buddista (Turfan, Kucha e Khotan, presto inclusi nel territorio cinese), a nord (da est ad ovest) c’erano popolazioni guerriere (i turchi –resi con Drugu o Drug in tibetani- orientali mongoli dell’Orkhon e i turchi occidentali dell’Ili, più tardi anche un altro ramo turco, quello degli Uiguri – resi con Hor in tibetano-), ad ovest c’era l’Iran che di lì a poco avrebbe subito l’invasione araba, a sud c’era l’India divisa in staterelli.

Dal settimo secolo i tibetani cominciarono ad avere contatti con il mondo esterno e constatarono che i paesi confinanti erano tutti buddistici (dall’india di Asoka del III secolo a.C. sarebbe arrivato verso il Kashmir e da lì verso la Cina avanzando soprattutto grazie alle vie commerciali). Il Nepal, che intratteneva rapporti di tipo commerciale con il Tibet, fu fortemente influenzato dalla cultura indiana dal V secolo d.C. Il Tibet intratteneva rapporti commerciali anche con i Qiang (a nord ovest del Tibet) i quali li intrattenevano con altri popoli confinanti fino ad arrivare alla Persia e, seguendo le vie commerciali, fino a Bisanzio. Ad ovest del Tibet, nella vallata dello Tsangpo, c’era il regno di Zhangzhung (o Zhangshung), comprendente il monte Kailasa (o Tise) dove avrebbe tradizionalmente origine il Bon, una religione che i seguaci di questa stessa dottrina collocano prima dell’apparizione del buddismo in Tibet (avvenuta dal VII secolo).

Il primo re tibetano, sPurgyal bTsan-po, il cui nome di origine sarebbe stato Nyag-khri (Namri Songtsen), morì assassinato e gli successe il figlio ancora minorenne Srong-brtsan-sgam-po (pronunciato Songtsen Gampo, primo grande re storico tibetano, regnò dal 614 al 650) che fu protetto da un ministro della famiglia Myang fino alla maturità. Questo re (grazie all’organizzazione dell’esercito in maniera formidabile) fece crescere territorialmente il Tibet espandendo le frontiere fino al nord dell’India e spingendosi fino alle frontiere cinesi, inoltre, fondò Lhasa, la capitale da sempre, spostando così il centro politico che precedentemente era situato nelle regioni del sud-est (Yarlung e Kongpo). Il lago della Piana di Latte sul quale fu costruito il tempio del primo re buddhista rappresenta il cuore di una demonessa sdraiata supina: questa demonessa è il suolo del Tibet  dell’VIII-IX secolo (l’epoca della potenza militare tibetana) che per essere civilizzato ha dovuto essere domato attraverso la costruzione di templi buddisti che fungevano da chiodi per fissare il corpo di questa demonessa al suolo, rendendo il paese abitabile. Per aggiudicarsi l’amicizia di questo re i cinesi gli donarono una principessa cinese. Secondo la tradizione il buddismo sarebbe stato introdotto in Tibet attraverso un piccolo stupa ed un indecifrabile sutra buddista caduto dal cielo nel palazzo di uno dei primi re, ma l’ipotesi più probabile è che sia stato introdotto dalle mogli cinesi e nepalesi del re. Oltre all’espansione territoriale Srong-brtsan-sgam-po assicurò una forte consolidazione monarchica preparandola per due secoli di regolare successione e grandezza imperiale. I principali sostenitori del re erano stati i dBa e i Myang ma anche se il potere monarchico era fortemente collegato all’appoggio dei grandi nobili (che ricoprivano la funzione di ministri dello stato) riuscì a difendere la propria indipendenza dall’oligarchia nobiliare. Un elemento che contribuiva a mantenere il potere monarchico era la convinzione della natura sacra della famiglia reale. Dal VII al IX secolo, il periodo dei re di Yarlung, è caratterizzato da una forte attività bellica in cui i tibetani erano maestri. Inoltre, sarebbe stata questa stirpe di re (tranne l’eretico Glang-dar-ma o Langdarma, che regnò dall’836 al 842) a patrocinare ferventemente il buddhismo (con la conseguente soppressione di riferimenti sui riti prebuddistici che comunque continuarono ad essere praticati). Ogni reggimento aveva la sua bandiera distintiva e la bandiera di quello di Yarlung aveva come emblema due leoni posti uno di fronte all’altro, caratteristica ancor oggi della bandiera nazionale tibetana. Ogni distretto sottostava all’autorità militare locale, quindi il comandante era aiutato da ministri responsabili dei vari affari interni (riscossione delle tasse…). La forte espansione tibetana li portò al contatto con grandi civiltà zoroastriane, manicheiane, buddiste, musulmane e cristiane nestoriane. Si scontrarono con tribù del Turkestan e arabo-persiane da cui appresero le prime notizie su Roma e Bisanzio. In seguito, il grande eroe epico dei tibetani, il re Ling, venne conosciuto con il titolo di Gesar di Khrom (=Cesare di Roma).

Dalla morte di Srong-brtsan-sgam-po nel 650 all’assassinio di  Gland-dar-ma nel 842 si succedettero otto re. Poco dopo la sua morte il Tibet conquistò il Turkestan cinese che ripassò ai cinesi a fine secolo (fine VII secolo). I contatti con le culture con cui venivano a contatto i tibetani gli permisero di allargare i loro orizzonti mentali: varie influenze vengono registrate nell’architettura, nell’arte, nelle scienze e nella letteratura e nei modi di vivere (oltre ad alcuni elementi di folklore) ma ciò che cambiò radicalmente i tibetani fu il buddhismo introdotto all’epoca di Srong-brtsan-sgam-po  (forse dalle sue mogli, quella cinese e quella nepalese) e il suo potente rafforzamento con Khri-srong-lde-brtsan (pronunciato Thisong Detsen, 742-797) nel secolo seguente (VIII secolo). Infatti tutte queste culture che vennero a contatto con il Tibet lo influenzarono spesso in modo superficiale ed impercettibile ad eccezione del buddismo. All’inizio, però, il buddhismo era considerato un passatempo aristocratico.

Se all’inizio, alla morte di un re, parenti ed amici più stretti lo avrebbero dovuto seguire nella tomba, in un periodo più tardivo sarebbero stati solamente inclusi in un appartamento nei pressi della tomba come custodi dove venivano considerati morti ma non venivano uccisi (in questo terreno continuavano a vivere in modo isolato ma non povero). I riti funebri, nonostante la fervente introduzione del buddhismo, avrebbero continuato ad essere presieduti (almeno per tutta la durata del periodo monarchico) da sacerdoti Bon (=invocatori) e sacerdoti gShen (= sacrificatori) e continuarono ad essere offerti cibo, bevande ed abiti che dovevano sostenere i defunti dopo il passaggio nell’aldilà nonostante questo vada al di fuori della credenza buddhista (fondata sul ciclo delle rinascite e sulla liberazione). I tibetani non credevano nell’esistenza di paradiso o inferno dopo la morte ma i defunti appartenevano semplicemente al regno dei morti: la tradizione prebuddistica in Tibet si sarebbe occupata solo delle questioni della vita e il suo scopo era scoprire (attraverso magie o calcoli astrologici) le cause delle sofferenze e delle sfortune umane (la cui cause principali sarebbero state gli dèi locali, demoni e spiriti) per poi trovare una cura adeguata. Creature benigne, invece, sarebbero stati i gSas e i dBal, di natura sconosciuta (probabilmente però erano divinità, le stesse da cui aveva origine il ceppo reale). Fra gli dèi-eroi (la stirpe reale) e i demoni nocivi vi erano una serie di divinità locali minori (della montagna, della terra…): in tutti i generi di costruzioni o lavori agricoli gli uomini sono destinati ad entrare in conflitto con queste divinità locali che si offendono se non vengono ricompensate dall’uso che fa l’uomo dei loro domini (ed ogni uso non appropriato da questi provoca in loro reazioni vendicative come malattie o morte). I sacerdoti che intervenivano nei riti presso le tombe o facevano offerte alle varie divinità e demoni erano i Bon e gli gShen. L’insieme delle pratiche di questa tradizione era conosciuta come “convenzioni sacre” (lha-chos) contrapposta alle “convenzioni umane” (mi-chos) o dei modelli del cielo e della terra.  

Verso la fine del periodo monarchico (842 circa) le autorità buddhistiche cominciavano ad occupare posizioni di potere.

Nel settimo secolo il Tibet era indifferente se non ostile al buddhismo contrariamente a quanto accadeva nei paesi confinanti. Il buddhismo, che incominciò a diffondersi progressivamente dal V secolo a.C., inizialmente era per lo più praticato dai nobili indiani che incominciarono a stanziare fondi per i monaci che pian piano divennero sedentari: particolare contributo venne dato dall’imperatore indiano Asoka (III secolo a.C.) grazie al quale il buddhismo poté diffondersi velocemente. Man mano il buddhismo indiano incominciò ad aver bisogno di testi sacri per giustificare il proprio ruolo e per supportarsi e la nascita di questi testi andò avanti in concomitanza all’accostamento e al contatto ad altre scuole ideologiche e a religioni locali indiane (fra cui l’induismo). Un altro aspetto che aiutò la diffusione del buddhismo fu la sua elasticità iniziale (e non solo) ad adattarsi agli usi locali per attrarre il più possibile i laici di religioni diverse: i monaci incominciarono ad agire come sacerdoti riconoscendo il potere e l’influenza delle divinità indiane locali riuscendo a sfruttare le similarità fra alcuni riti tantrici più esteriori e certe pratiche indigene pre-buddhistiche. Pratica utilizzata per la meditazione divenne anche lo yoga, nato in India in epoca antica. Le loro opere letterarie aumentarono i campi di interesse andando dalla medicina alla letteratura. Verso la nascita dell’era cristiana (I secolo d.C.) nacque il Mahayana (il “grande veicolo” che promuove una vita da bodhisattva, quindi alla salvezza degli altri esseri prima che alla propria), il quale produsse testi propri dichiarati parola del Buddha, che si contrappose al buddhismo fino a quel momento praticato che fu chiamato Hinayana (il “piccolo veicolo”, accezione data dai seguaci Mahayana, volto alla salvezza individuale). La necessità primaria per chi aspirasse a diventare un Buddha era di trovare un maestro i cui metodi si adattassero alle inclinazioni del suo discepolo: la fede assoluta nel maestro che si era scelto divenne il requisito principale nelle forme successive di pratica tradizionale del Buddhismo. Con la nuova corrente Mahayana chiunque (e quindi non solo gli asceti) poteva aspirate alla buddhità.

Il Tibet, che probabilmente conosceva già il movimento buddistico, fu influenzato dal buddhismo Mahayana nel VII secolo dopo che si era già diffuso nella maggior parte dei paesi confinanti fra cui la Cina (dal I secolo d.C.) e il Nepal (dal V secolo). Il buddismo divenne religione ufficiale nel 791 ad opera del re. Dall’VIII secolo al XII secolo (coincidente con la quasi totale scomparsa del buddhismo in India a causa delle incursioni musulmane) i tibetani visitarono costantemente l’India e il Nepal per ricevere testi, istruzione ed iniziazioni. Nel XIII secolo i tibetani composero per loro il Canone buddhista che, grazie alla loro devozione, divenne il più completo in forme e contenuti di tutti quelli che un gruppo di buddhisti avesse prodotto. Poco dopo il buddismo scomparve dall’India e scemò in Nepal dove era soggetto alle pressioni di una società dominata da Brahmani. Quindi i tibetani divennero gli eredi dell’intera tradizione buddistica indiana.

Il buddhismo incominciò a stabilirsi in Tibet nell’epoca di Srong-brtsan-sgam-po (che morì nel 650 circa e avrebbe fatto costruire la costruzione buddista di Jo-khang), considerato, insieme a Khri-srong-lde-brtsan e Ral-pa-can (Ralpacen, che regnò dall’815-833), uno dei Tre Grandi Re buddhisti. Se alcune famiglie nobili come i dBa (pronunciato Ba) erano contrari all’introduzione del buddhismo non si poteva dire la stessa cosa per i Myang che arrivarono anche a fondare templi buddisti.

Srong-brtsan-sgam-po avrebbe mandato in India il saggio Thonmi Sambhota che avrebbe fissato l’alfabeto tibetano in base ad un alfabeto indiano (del Kashmir), l’alfabeto Gupta. Il vocabolario e lo stile letterario tibetano, ora principalmente dedicato al buddismo, (soprattutto dal IX secolo in poi) fu adattato ai termini e allo stile indiano in base ai testi sanscriti su cui si lavorava: venne prodotto un vocabolario dottrinale e ideologico capace di rendere fedelmente la traduzione di tutta la letteratura sanscrita buddista. Gli immediati successori di Srong-brtsan-sgam-po, però, non mostrarono grande entusiasmo per il buddhismo.

Il primo monastero tibetano in cui si veniva educati per diventare monaci fu quello di bSam-yas (Sam-ya, Samye) dove, in concomitanza con la traduzione in tibetano di testi buddisti cinesi ed indiani, nel 792, ebbe luogo il Grande Dibattito per stabilire se si dovessero seguire gli insegnamenti indiani o cinesi (in seguito allo scatenarsi di insegnamenti dottrinali). Il punto di vista indiano (sostenuto dal saggio Kamasila, chiamato da Santaraksita) si pronunciò in favore dei convenzionali insegnamenti del Mahayana e della convenzionale educazione intellettuale e morale. La posizione cinese di scuola Chan (sostenuta da Mo-ho-yen), invece, riteneva la morale convenzionale e lo sforzo intellettuale del tutto irrilevanti se non nocivi allo scopo del raggiungimento dell’illuminazione (proponendo come via migliore la “via breve” ed immediata propria anch’essa del tantrismo e del Mahayana). Il successo del buddismo cinese era quello del quietismo Chan (o Zen) che dava poca importanza alle opere di bene e al lento e difficile progresso verso la santità. Tale successo aveva infastidito i maestri indiani che avevano predicato alcune semplici regole di condotta morale e il principio della retribuzione delle opere buone o cattive in una vita futura.

Ma il verdetto fu favorevole alla scuola indiana (queste due posizioni, però, non rappresentavano l’intera posizione buddistica presente in Cina o in India, ma solo quella della scuola presente al dibattito).

Gli stupa, contenenti salme, reliquie e statuette funerarie di santi, Lama ma anche laici, avevano una cupola (la parte più importante poiché contenente la reliquia) sormontata da una specie di spirale a tredici anelli (come i 13 stadi per raggiungere la buddità) e coronata da un disco solare appoggiato ad una mezzaluna: la cupola era sormontata dalla “goccia” che rappresentava la dissolvenza di sole (la saggezza) e luna (la compassione) al momento dell’illuminazione (questi simboli erano in relazione con le dottrine tantriche buddiste più sviluppate). 

La principale immagine di Buddha è generalmente quella del traduttore Vairocana (l’illuminatore) collegata con una serie di testi tantrici e posto, nelle immagini, al centro e circondato da altri Buddha. L’immagine del Buddha Vairocana, insieme agli altri quattro Buddha supremi (che sono la sua manifestazione nelle quattro direzioni), è essenziale nei riti rNying-ma (pronunciato Nyingma), in particolare nell’ordine non riformato dei Dzogchenpa ma è essenziale anche nei riti Bon.

L’immagine del Buddha primordiale (Sakyamuni) passa in secondo piano.

Le forme convenzionali di buddismo monastico furono quelle che ebbero il sostegno dei re e dei sovrani perché si considerava che esse svolgessero un ruolo necessario nell’organizzazione della vita sociale, le altre forme non convenzionali venivano tollerate (e si svilupparono più che altro a livello popolare).

Con la crescente presa del potere del buddhismo dei primi tempi si giunse alla lotta fra sostenitori e non sostenitori del buddismo gli ultimi dei quali arrivarono ad uccidere il re Ral-pa-can (o anche Thisug Detsen, che regnò dall’815-838) che stava lasciando il Tibet in mano ai buddisti. Ralpachan fece in modo che venisse adottato solo il vocabolario sanscrito per i termini buddisti, arrivò a farsi monaco e a fare grandi donazioni e concessioni al clero. Al suo posto salì sul trono il fratello Glang-dar-ma (pronunciato Langdarma) che è famoso come persecutore del buddismo ma che fece la stessa fine del fratello segnando la fine della monarchia nell’842. Le lotte fra nobili proseguirono anche per la spartizione del potere in seno ai nobili pro buddismo.

La letteratura popolare dei secoli successivi (dal XIV) si sviluppò in gran parte intorno alla figura dello yogin-siddha Padmasambhava attraverso testi ritenuti antichi (del IX secolo) e che erano stati ritrovati: chi scopriva questi testi, chiamati “tesori” (gter-ma), era chiamato “scopritore di testi” (gTer-ston). Padmasambhava, forse esistito realmente (sarebbe stato un yogin chiamato dal re tibetano nell’VIII secolo), per i seguaci della scuola rNying-ma (la “vecchia via” o il “vecchio Ordine”) fu ritenuto il loro fondatore nonché buddha. Il primo monastero fu costruito nel 779 sotto Santaraksita e Padmasambhava. Il Bon, prima principalmente fondato su figure religiose (una sorta di sacerdoti) incominciò (fra IX e XIV secolo in particolare) a sistematizzarsi e a prendere caratteristiche tipiche del buddismo (a partire dalla scrittura, dai testi, dal pantheon…) e i nuovi “sacerdoti” incominciarono ad essere conosciuti come bon-po i quali acclamavano come loro fondatore un certo gShen-rab (possibilmente fondato sulla figura del Buddha Sakyamuni).

Quindi se da un lato i seguaci buddisti facevano di tutto per conformare il buddismo alle pratiche pre buddistiche tibetane, allo stesso modo i bon-po facevano di tutto per acquisire nuove nozioni e sviluppare le loro pratiche prendendo molto spunto dal buddismo tanto che con il tempo le differenze fra buddismo tibetano e bon-po sono diventate quasi impercettibili. Una sostanziale differenza fra chos-pa (buddisti tibetani) e bon-po sta nel riconoscimento da parte dei chos-pa di qualsiasi scuola nell’origine indiana della loro tradizione (nonché il rispetto per il Buddha primordiale Sakyamuni) mentre i bon-po sostengono che gli insegnamenti buddisti provengono dalla dottrina bon-po nata dal Buddha bon-po gShen-rab (e non da Sakyamuni). La forza del buddismo tibetano fu nel poter utilizzare figure (Buddha, bodhisattva, santi…) buddiste di tradizione indiana e quelle di origine prebuddista tibetana (assimilate come altrettante figure buddiste che, in base alla concezione buddista, sarebbero potute benissimo essere manifestazioni di Buddha, bodhisattva e altre figure ricollegate alla propria tradizione indiana) mentre i bon-po furono costretti a dover cambiare i nomi a figure buddiste da loro ormai accettate perché la loro tradizione potesse essere considerata precedente a quella buddista.

Nel bon, però, sussistono riti e concezioni che contrastano con la dottrina buddista (come nella credenza delle anime erranti collegata con il rito del bar-do, lo stato intermedio fra vita e morte).

Nonostante la caduta della monarchia il vigore dell’esercitò tibetano rimase saldo ancora per qualche secolo (ricordiamo il regno tibetano degli Xi Xia, formato da Qiang, Sumpa, Azhi –popolazioni che si situarono nella regione del Minyag, nome tibetano con cui si designano i Xi Xia-, che durò dal X al XIII secolo – dal 1032 al 1226- e che costituì una minaccia sempre presente per i cinesi). Dopo la morte di Glang-dar-ma uno dei suoi eredi si rifugiò nell’estremo ovest dove fondò tre regni (Mar-yul, Gu-ge e sPu-hrangs nell’attuale Ngari) mentre altri discendenti del re continuarono a regnare come piccoli signori locali nel centro del Tibet. Se nel Tibet centrale il buddismo venne trascurato, la suà tradizione continuò ad essere praticata nel resto del Tibet, soprattutto ad est e ad ovest.

La restaurazione del buddhismo nel Tibet centrale avvenne nel 978, poco prima della visita di Atisa nel 1042: in quell’anno alcuni maestri tibetani tornarono a Lhasa dal loro esilio nel Tibet orientale. L’allievo più fedele di Atisa, Dromdon (Domton), avrebbe fondato il monastero di Rva-sgreng (Radreng o Reting) nel 1056 e il primo ordine monastico tibetano, il Kadampa (Bka’gdams pa), basato su rigide regole che gli vietano anche il matrimonio, l’alcool, i viaggi e il denaro.

Il 1027 è la data tradizionale dell’introduzione in Tibet di un sistema filosofico chiamato Kalacakra (= Ruota del Tempo). Nel tibet orientale il discepolo indiano Smriti cominciò la traduzione di nuovi testi tantrici: nacquero i Nuovi Tantra. Nel tibet occidentale grazie a vari re e a figure come il traduttore Rin-chen bZang-po (pronunciato Rinchen Zangpo, 958-1055, traduttore di sutra e tantra –tradizionali mahayana- e commentari che trascorse 17 anni in India) il buddhismo conobbe una nuova diffusione. Oltre all’inestimabile lavoro di Rin-chen bZang-po ricordiamo anche i viaggiatori e studiosi ‘Brog-mi (992-1072, fondatore dell’ordine Sa-skya) e Mar-pa (1012-1096, fondatore dell’ordine bKa’-rgyud) che si recarono in India dal Tibet centrale alla ricerca di nuovi testi e maestri (il maestro di ‘Brog-mi, Santipa, scrisse il commento allo Hevajra Tantra che divenne uno dei testi base del Sa-skya). I tantra introdussero la concezione nuova dell’illuminazione perseguita in una sola vita (a condizione che si trovasse un maestro capace e disposto  a impartire la verità): se da una parte esistono i tantra composti da Vairocana e i quattro Buddha delle direzioni, dall’altra ci sono quelli composti da antiche divinità indiane medievali (così che molti dèi indiani vanno a formare nuovi gruppi di Buddha o bodhisattva – ad esempio il dio induista Lokesvara ha in Avalokitesvara il suo corrispondente buddista mentre Shiva si trasforma nelle divinità buddistiche di Heruka ed Hevajara e così via-). Di tutti gli insegnamenti buddistici riscontrati in India quelli che hanno suscitato maggior attrattiva per i tibetani sembrano essere stati quelli metafisici e magici, quelli più imponenti e spaventosi: alcuni di questi si riscontravano in divinità terribili caratterizzate da uno stile religioso fuori dalla consuetudine e che venivano spesso imitate da mendicanti e yogin che rifiutavano uno stile di vita consuetudinario.

Se ‘Brog-mi, fondatore dell’ordine Sa-skya trovò nella figura di Santipa il suo maestro, Mar-pa, fondatore dell’ordine bKa’-rgyud la trovò in Naropa. Ma il più grande stimolo per gli sviluppi tradizionali in Tibet fu l’arrivo e la missione del maestro indiano Atisa (nell’XI secolo) che si stanziò nel Gu-ge. Gli aspetti più potenti che introdusse Atisa (sotto l’influenza dell’austero discepolo ‘Brom-ston, pronunciato Domton) riguarderebbero la restaurazione dell’ordine e della disciplina monastici e la necessità del discepolo di scegliere ed essere accettato da un maestro seguendolo con obbedienza e devozione totali conferendo un ordine formale ad idee già diffuse generalmente fra i maestri e i monasteri. L’insieme dei suoi insegnamenti divenne noto come (ordine) bKa’-gdams-pa (pronunciato Kadampa a cui si ricollegherà più tardi quella dei Gelugpa, la chiesa ufficiale dei Dalai e Panchen Lama che governò dal XVI al XIX secolo) ma le quattro leggi alle quali erano assoggettati i suoi seguaci (astensione dal matrimonio, da alcolici, viaggi e possesso di denaro) ebbero scarsa attrazione per la maggior parte dei tibetani molto più attratti dagli aspetti magici ed emozionali del buddismo. Il più grande discepolo di Atisa fu Sakya Sri (1127-1225), figura molto influente. Ma fu dai nuovi maestri come ‘Brog-mi e Mar-pa che ebbero origine i successivi ordini buddisti tibetani.

L’ordine Sa-skya-pa ha origine con il monastero omofono fondato nel 1073 da un appartenente della famiglia (nobile?) dei ‘Khon, Konchog Gyalpo (discepolo di Dogmi che portò dall’India il’insegnamento dei grandi yogin secondo il quale il “risveglio” è colto già nel “cammino”), e grazie alla posizione in una via commerciale del monastero l’ordine e la forza Sa-skya crebbe rapidamente.

L’ordine bKa’-rgyud (l’ordine trasmesso, pronunciato Kagyu) fondato da Mar-pa è diventato famoso con il suo discepolo Milaraspa (pronunciato Milarepa), il più famoso e potente degli yogin tibetani, celebre per i suoi poteri magici e per i suoi canti diffusi attraverso la sua biografia che è un genere di letteratura tibetana tradizionale e didattica nel contempo. A metà strada fra lo storico e il fantastico è la biografia del maestro di Mar-pa, cioè Naropa, che fu discepolo del mahasiddha Tilopa. Tilopa avrebbe sottoposto Naropa a dodici prove difficili e lo stesso avrebbe fatto Mar-pa con Milaraspa. Il più grande discepolo di Milaraspa, Dagpo Lhaje o sGam-po-pa (pronunciato Gampopa, 1079-1153), ricevette gli insegnamenti di Mar-pa (che a sua volta aveva assimilato la dottrina da una serie di saggi e yogin indiani) attraverso Milaraspa. I discepoli di sGam-po-pa, che fu una figura molto influente, fondarono almeno sei scuole famose e uno di loro fondò il primo monastero bKa’-rgyud-pa, quello di gDan-samthil. In alcune scuole bKa’-rgyud-pa (come quella ‘Bri-khung-pa) la successione dei superiori non avveniva ereditariamente ma per reincarnazione e questa particolarità è stata probabilmente ereditata dalla serie di yogin indiani (gli 84 mahasiddha). Anche nella Sa-skya si procedeva per incarnazioni sempre ritrovate, però, nel ramo dei discendenti di ‘Khon. Il ramo Karma-pa ricavava sovvenzioni da un ampio gruppo di famiglie terriere e nomadi nelle vicinanze dei monasteri. Sia i Sa-skya che i bKa’-rgyud-pa diffondevano l’insegnamento per ottenere l’illuminazione nella stessa vita o al massimo in punto di morte. Con sGam-po-pa passiamo dall’epoca dei traduttori a quella degli studiosi buddisti tibetani capaci di scrivere dissertazioni sulla dottrina basandosi sulle traduzioni tibetane che ormai sono accessibili. Sono ancora necessari traduttori ma ora sono subordinati a maestri e studiosi che spesso conoscono il sanscrito molto poco o per niente. Dei maestri studiosi Sa-skya ricordiamo Kun’-dga’-snying-po (che sistematizzò gli insegnamenti basati sui culti tantrici di Hevajra e Samvara) e Kun-dga’rgyal-mtshan (che commentò i tantra principali e scrisse sulla filosofia, la logica, la grammatica e la poesia) e ancora ‘Phags-pa (che compose anche spiegazioni dei tantra per i patroni mongoli inventando la scrittura per la lingua mongolica che porta il suo nome).

All’inizio del XIII secolo vi furono sette centri potenti di insegnamento in Tibet. La fama e la ricchezza dei monasteri crebbero in fretta: ogni monaco partecipava alle cerimonie del tempio, ai riti, ai canti e all’esecuzione musicale, alcuni, inoltre, si occupavano di lavori accademici come traduzioni, edizioni, copiatura e stampa di manoscritti ma tutti erano tenuti a partecipare alle necessità pratiche della vita quotidiana (lavoro di amministrazione e mantenimento come quello nei campi o il pascolo). Da VII al XIII secolo i sapienti tibetani furono principalmente impegnati nella traduzione di ogni opera buddista indiana scritta in sanscrito, opere che andarono a costituire la base fondamentale delle scritture buddistiche tibetane comuni a tutti i diversi ordini tradizionali. Con la fine della traduzione di tutti i testi recuperati in sanscrito, inizia la stesura del Canone tibetano. Dal XII secolo alcuni sapienti tibetani avevano trasferito in Tibet non solo i testi ma anche l’intero modo di vivere dei monaci buddhisti e degli yogin indiani (mentre altri aspetti della vita indiana restarono del tutto trascurati in modo da interessarsi solo alla dottrina buddhista indiana). Le scuole monastiche del buddhismo in India insegnavano non solo dottrina e logica buddiste ma anche astronomia, medicina, rituale, liturgia, grammatica, poesia, arti e artigianato ma la maggior parte dei tibetani rimase all’oscuro di queste dottrine insegnate nei monasteri indiani:ciononostante erano disposti ad accettare che i sacerdoti buddhisti agissero a loro beneficio al posto dei loro sacerdoti originari. La diligenza e l’interesse che caratterizzò i tibetani nella scoperta di tutto ciò che fosse buddista li portò, nei secoli, a pensare il buddismo non più in collegamento con la sua patria d’origine ma come religione propria e tradizionale (aiutati anche dal fatto che a parte i primi traduttori nessuno conosceva il sanscrito poiché i testi erano già stati tutti tradotti). Sembra che i tibetani abbiano appena fatto in tempo ad acquisire tutto ciò che fosse possibile sul buddismo indiano.

Infatti intanto l’avanzata dei musulmani aveva provocato la distruzione dei più grandi centri buddistici in India (XII-XIII secolo) e l’uccisione dei monaci. Allo stesso modo stavano avanzando, sotto la direzione di Gengis Khan, i mongoli che distrussero (agli inizi del XIII secolo, dal 1206) il regno Xi Xia (o tangut o My-nyag) e si introdussero nella corte cinese. In Tibet, nonostante la caduta della monarchia e le varie lotte fra monasteri, vigeva ancora l’indipendenza finché gli inviati di Gengis Khan non si presentarono chiedendo la sottomissione del Tibet che altrimenti sarebbe stata presa con la forza. I tibetani risposero positivamente e per secoli il rapporto con i mongoli fu abbastanza pacifico poiché in cambio della pace i mongoli chiedevano solo che gli si presentasse la religione buddista.

Con la scomparsa del buddismo in India e in parte nei paesi confinanti al Tibet, i tibetani si preparavano ad entrare in un nuovo periodo di isolamento culturale (il precedente fu in una situazione simile ma contraria, quando tutti i paesi confinanti erano già buddisti ma il Tibet non lo era ancora). Tutto ciò che ora il Tibet aveva in comune con i suoi vicini erano le teorie mediche (basate parzialmente sulle nozioni psicologiche indiane legate allo yoga e in parte sulle osservazioni anatomiche cinesi più una classificazione indiana delle malattie), le teorie e le scienze dell’astronomia (come anche il calendario basato sul mese lunare), gli stili dell’architettura, quelli dell’iconografia e quelli della pittura (che più avanti prenderanno uno stile tibetano).

Fino al 1239 il Tibet non fu proprio invaso dai mongoli: fu solo con Godan, uno dei due figli di Ogodai (successore di Gengis Khan) che iniziarono i rapporti fra i due paesi. Impressionato da ciò che gli venne riferito dell’influenza dei grandi Lama, Godan convocò un rappresentante tibetano alla sua corte: la scelta doveva essere effettuata tra i grandi Lama di ‘Bri-khung, sTag-lung e Sa-skya e nel 1244 il Lama di Sa-skya partì per incontrare il Khan e, dopo aver mandato lettere ai maggiori capi spirituali e signori tibetani parlando in modo positivo dei mongoli (e della protezione che avrebbero dato al Tibet senza interferire con la religione se si fosse sottomesso), fu nominato “reggente” con l’obbligo di risiedere alla corte del Khan e di trasmettere ordini agli ufficiali in Tibet. Sakya panchen, dopo aver iniziato Godan e aver preparato un alfabeto mongolo, fu premiato con la donazione del regno di U e di Tsang ai Sakya.

Il nipote del Lama “reggente”, ‘Phags-pa (Phagpa, 1235-1280), nipote di Sakya Pandita, strinse talmente i rapporti con Kublai Khan, nuovo invasore mongolo, che divenne a tutti gli effetti vassallo mongolo e sovrano del Tibet mentre Kublai divenne un potente e devoto protettore del Buddhismo. Questo è il periodo in cui il Grande Lama di scuola Sa-skya, Papka Lama (obbligato a risedere alla corte mongola), nella persona di sovrano del Tibet (anche se non sempre riconosciuto dai Lama degli altri grandi monasteri), fu eletto da Qubilai Khan consigliere spirituale e sacerdote supremo alla corte cinese fondando la dinastia Yuan nel 1271. I mongoli non cercarono di amministrare il Tibet ma crearono un efficiente sistema di comunicazione e organizzarono il territorio in distretti basato sui vecchi sistemi amministrativi tibetani. Alcuni Lama cercarono di imitare i Sa-skya cercando protezione e maggior prestigio aspirando all’amicizia con qualche capo mongolo: a questo proposito arrivarono i Karma-pa, i mTshal-pa e Bri-khung-pa. I Sakyapa regnarono per circa settantacinque anni e furono affiancati dal potere Karmapa. Queste alleanze molteplici fra vari Lama e capi mongoli alterò ancor più le relazioni fra monasteri che credevano di aver la possibilità di portare il proprio Lama al trono del Tibet e queste rivalità si scatenarono con guerre vere e proprie fra monasteri (grazie all’aiuto dei vari signori mongoli e dei loro eserciti) in cui i monaci avevano il compito di andare in lotta. Ovviamente non mancavano buoni esempi di uomini e Lama devoti solo all’aspetto religioso della loro vita e spesso a far rispettare una rigida disciplina monastica. Alcuni si consacravano ad una vita tranquilla e santa, altri erano portati per un ascetismo più violento che li portava a frequentare cimiteri, cibarsi di sostanze vili, vivere svestiti nel freddo, leccare le piaghe dei lebbrosi e sopportare ogni sorta di stenti che si infliggevano da soli. Questi personaggi estremi erano conosciuti come “folli” (non nel senso stretto della parola) apprezzati per l’insegnamento morale che avrebbero potuto trasmettere. Al declino degli Yuan corrisponde quello dei Lama Sa-skya che già si stava indebolendo a causa del sistema della successione per nascita ( ad ogni Lama deceduto corrispondevano tre reincarnazioni: del corpo, della mente e di beatitudine) che produsse un gran numero di eredi potenziali. Dal XIV secolo (forse anche prima) prende piede in Tibet una forma di successione, quella del lama incarnato, che per quanto supportata dalla dottrina buddista canonica ha caratteri unici. La rinascita di un Lama incarnato è vista come rinascita di un Buddha, libero dal karma, che rinasce volontariamente per il bene degli altri. In punto di morte il lama da indicazioni sul luogo in cui si dovrà cercare la sua prossima nascita.

Il rapporto fra mongoli e tibetani rafforzò e riorganizzò la struttura amministrativa tibetana ed incrementò la ricchezza dei monasteri ma diede alle dinastie cinesi seguenti (e non solo alle dinastie) l’opportunità di considerare il Tibet parte integrante del territorio cinese in base a quel rapporto Sacerdote-Patrono che aveva caratterizzato quello fra mongoli e tibetani.

Con l’indebolimento dei Sa-skya incominciò a prendere potere un discendente della famiglia Rlangs, Byang-chub rGyal-mtshan (Jangchup gyaltsen) di Phag-mo-gru che presto riuscì a indebolire il potere dei Lama e ad assumere anche il titolo di sovrano. Lui e i suoi discendenti promossero una campagna per la tibetanità perduta nei secoli rifacendosi alla tradizione degli antichi re (e non solo) e cercarono di porre l’accento sulla rottura con la nuova dinastia cinese alla quale non avevano la minima intenzione di sottostare. Fu ravvivata l’antica tradizione attraverso testi che cantavano la gloria degli antichi re e la vittoria del buddismo sui demoni tibetani: questi “testi riscoperti” (scritti soprattutto da Bon-pa e rNying-ma-pa che cercavano di affermare la loro tradizione antica) si moltiplicarono e furono chiamati “tesori” (gter-ma) mentre chi li trovava (solitamente erano Lama) era conosciuto come gter-ston. La supremazia dei Phag-mo-gru era una continuazione del ruolo di guida spirituale mentre i loro successori (i Rin-spungs e ancora dopo gli gTsang, entrambi patroni del Karmapa) rappresentarono un ritorno al ruolo laico.

In pittura incominciarono ad essere rappresentate le successioni di Lama che spesso in alcuni dipinti venivano rappresentati come reincarnazioni di Buddha specifici al centro del dipinto e con altre figure sacre attorno. La tecnica della xilografia arrivò in Tibet dalla Cina nel XIII secolo.

Il grande studioso e scrittore enciclopedico Bu-ston (1290-1364) ha ordinato la maggior parte delle scritture buddiste accumulate nei secoli anche se molto lavoro era già stato svolto con la sistematizzazione dei testi che andarono a formare il bKa’-‘gyur (=traduzioni della parola del Buddha) ma sembra che lui sia stato interamente responsabile dell’arrangiamento della seconda più ampia sezione, il bsTan’-‘gyur (=traduzione dei trattati) che comprende tutte le traduzioni e commenti disponibili, letteratura esegetica e discorsi di studiosi indiani buddhisti e yogin. Questa grande compilazione segna davvero la fine dell’opera di intere generazioni di traduttori tibetani.

L’ordine rNying-ma-pa (il vecchio ordine) riconosce come maestro e Buddha il saggio yogin Padmasambhava (“nato dal loto”) che sarebbe venuto nell’VIII secolo in Tibet (se ne parla nelle “pergamene di Padma” redatta da questo ordine in base alle storie leggendarie), così questo ordine rappresenterebbe il tipo di buddismo introdotto al tempo dei re buddisti. Sakyamuni resta il beneficiario di semplici preghiere mentre Padmasambhava nelle varie sue manifestazioni divine è il centro di numerosi rituali tantrici. Il rNying-ma-pa sosteneva di essere direttamente in relazione con le prime trasmissioni dall’India al Tibet mentre il bKa’-gdams-pa, il Sa-skya-pa e il bKa’-rgyud-pa avevano le loro basi nell’India del X-XI secolo. I rNying-ma-pa composero (verso il XIV secolo) un “compendio dei vecchi tantra” non compresi nel canone tibetano che sono frutto probabilmente dell’attività dei tibetani che lavoravano sui tantra in collaborazione con yogin indiani.

L’ordine Bon-po, che si proponeva come religione tradizionale tibetana prebuddista, si era fatto strada nei secoli (partendo dall’VIII in cui avrebbe iniziato a svilupparsi) imitando l’organizzazione buddista di cui era sprovvisto: gradualmente svilupparono una letteratura specializzata e una vita organizzata nei templi e monasteri, praticarono la pittura e l’arte statuaria e le forme attribuite alle divinità bon-po furono abili varianti dei temi buddistici indiani. D’altro canto tutte le forme di buddismo che si fecero strada in Tibet sono permeate di tradizione Bon-po tanto che molte divinità prebuddistiche locali sono andate a costituire il pantheon buddista.

Quindi è principalmente dall’XI al XIV secolo (quando il buddismo aveva permeato tutta la società tibetana) che la civiltà, la vita e il pensiero tibetani assunsero la loro forma caratteristica. Anche i cantastorie, oltre a cantare glorie degli antichi re mitici (ora assimilati ai quattro grandi re delle quattro direzioni dello spazio), cantavano nuove storie su personaggi come Padmasambhava e gShen-rab o storie sul “re del nord” (identificato con un discendente della famiglia Gling del nord est del Tibet dal XIV secolo in poi) conosciuto come Ge-sar di Khrom. Gradualmente anche la tradizione popolare incominciò ad essere scritta anche se non aveva alcun contatto con la forma più elevata di letteratura. Dal Lama Sa-skya Kun-dga’bZang-po (1382-1444) nacque un nuovo ordine Sa-skya, quello di Ngor-pa. Oltre alle sei scuole bKa’-rgyud-pa già esistenti (Karma-pa, Phag-mo-gru, mTshal, ‘Bri-khung-pa, sTag-lung Thang-pa, ‘Brug-pa) ne nacque una settima, quella Jo-nang-pa. Questa nuova scuola mise per iscritto alcune influenze di tipo induista (brahmaniche) già esistenti all’interno del buddhismo (soprattutto per quanto riguarda certe divinità induiste che andarono a costituire il pantheon buddista) in particolar modo in riferimento alla dottrina originaria buddista del non-sé portata alle sue estreme conseguenze logiche (che era anche ciò che differenziava i buddisti dalle scuole induiste ortodosse che sostenevano la dottrina di un sé supremo nonostante il loro uso di una via della negazione). Il fondatore di questo ordine, quindi, formulò l’ “eresia” sul “vuoto dappertutto” che distingue questa scuola buddistica dalle altre non senza contestazioni da parte degli altri ordini (che arrivarono a bruciare i templi Jo-nang-pa).

 

Bibliografia: – Il Buddhismo tibetano. Donald-Lopez

                   – Tibet, storia della tradizione, della letteratura e dell’arte. Richardson-Snellgrove

                   – La civiltà tibetana. Stein

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