Xinjiang, la Turchia d’Oriente

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Introduzione

Il Xinjiang si trova all’estremo Nord-ovest cinese ed è una delle provincie che mi ha sempre affascinata anche molto prima di pensare di andarci.

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Mi ha incuriosita con il suo cibo appena arrivata in Cina, mi ha affascinata per i posti meravigliosi che offre e infine mi ha conquistata con la sua cultura multietnica.

Terra sempre appartenuta a popolazioni nomadi o semi-nomadi di cultura e lingua turcofona (quali uyghuri, kazakhi, uzbeki e tajiki), è oggi luogo di attriti culturali e religiosi portati avanti dalla lotta del governo cinese all’estremismo islamico ed al separatismo.

Diversi attacchi terroristici effettuati negli ultimi 10 anni (dal 2009) da membri musulmani per lo più uyghuri (almeno secondo le fonti cinesi), avrebbero inasprito tensioni già presenti fra uyghuri separatisti (che vorrebbero il Xinjiang o East Turkestan indipendente) e governo cinese.

Inutile dire che gli attentati non hanno fatto altro che peggiorare una situazione già difficile in principio, soprattutto per tutti i musulmani che mantengono una dedizione alla diffusione della cultura locale e della religione islamica. Diversi sono i casi di uyghuri e kazakhi scomparsi nel nulla, soprattutto quelli facenti parte della comunità letteraria uyghura o di quella musulmana (si parla della scomparsa/detenzione di circa 1 milione di persone). Orribili sono le voci che corrono da un paio di anni sulle atrocità che il governo cinese starebbe infliggendo sui locali turcofoni nei così detti “campi di rieducazione”, voci diffuse da chi è scappato in tempo dalla tenaglia del comunismo cinese.

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Parecchie sono le manifestazioni degli uyghuri in molte capitali europee, americane e australiane nel tentativo di attirare l’attenzione dei paesi più influenti e della comunità musulmana internazionale. Alcuni paesi hanno chiuso gli occhi (Indonesia e paesi arabi), altri hanno chiesto spiegazioni al governo cinese (paesi europei e Stati Uniti), altri ancora sono passati alle parole dure (Turchia). Ma la situazione è ben nascosta e in continua evoluzione. Il fatto è che circa un milione di uyghuri e altri turcofoni locali parrebbero mancare all’appello, senza una minima spiegazione da parte delle forze dell’ordine cinese. La verità sembra ancora lontana dal venire a galla, ma le cose che ho visto e ho sentito io personalmente mi bastano per sentire la morsa eccessiva che il governo cinese aggrava sugli abitanti del Xinjiang.

Per più info sugli uyghuri e sulla situazione attuale in Xinjiang: https://www.uyghurcongress.org/en/

 

Viaggiare nel Xinjiang

E’ indubbio che il Xinjiang sia una terra dura, sia territorialmente che politicamente. In 7 settimane di viaggio, ho amato questa terra, eppure non posso nascondere di averla anche un po’ “odiata”. Non per la gente, non per la difficoltà nel raggiungere i posti da visitare (spesso molto lontani dalle città in cui gli stranieri possono prenotare gli alberghi), ma per i continui “sabotaggi” da parte delle forze dell’ordine, che non fanno altro che eseguire gli ordini dall’alto, ovviamente.

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Tappe principali del mio viaggio di 7 settimane nel Xinjiang

Mi riferisco a tutte quelle zone “foreigners un-friendly” , ovvero quelle zone off-limits, proibite agli stranieri, visti costantemente come potenziali spie.

Prima di affrontare un viaggio nel Xinjiang dovete tenere ben presente due cose: la prima è che se in tutta la Cina lo straniero non ha che ben pochi diritti, qui ne ha anche meno delle minoranze etniche ritenute pericolose per l’ordine pubblico; la seconda è che verrete costantemente controllati e registrati dalle forze dell’ordine che si trovano ai confini delle città, nelle stazioni degli autobus, del treno e anche per le strade delle città.

Di dove sei?”, “Perchè ti trovi qui?”, “Da che città arrivi?”, “Quando sei arrivato e quando andrai via?”, “Qual è la tua prossima destinazione?”, “Che visto hai?”, “In che hotel alloggi?”, “Numero di telefono?…queste sono le domande che vi verranno costantemente chieste.

xinjiang police

Gli impiegati dovranno scrivere tutti questi dati e a volte assicurarsi che ciò che dite venga rispettato, per esempio venendo a controllare di persona se alloggiate veramente nell’albergo dichiarato.

Se non avete fatto sufficienti ricerche degli alberghi che possono ospitare gli stranieri (cosa che avviene in tutta la Cina, non solo nel Xinjiang), la domanda “dove alloggi?” potrebbe venire anche accompanata da un bel “non puoi alloggiare in quell’albergo”, e talvolta anche da “stasera veniamo a controllare se stai davvero lì”.

Prima di andare a Kuitun, città principalmente abitata da cinesi han, ho contattato un albergo che mi ha assicurato di poter ospitare stranieri. “Bene, dopo 5/6 chiamate finalmente ne ho trovato uno”, mi sono detta. Il risultato è stato veramente deludente, se pensate che appena arrivata alla stazione di blocco all’entrata della città, gli impiegati poliziotti non solo mi hanno detto che quell’albergo non era abilitato a ricevere stranieri, ma che dovevo andare in un albergo extra lusso da quasi 400 yuan a notte (più di 50 euro). Inoltre, come se non bastasse l’idea di dover sprecare i miei soldi in quel modo, l’ufficiale mi ha anche intimato “stasera veniamo a vedere se sei davvero lì”…e ragazzi, la sera alle 8.30 io ho ricevuto la visita dei poliziotti.

Insomma, nel Xinjiang ci si sente costantemente controllati da polizia, telecamere, alberghi (anche loro ti possono chiedere le prossime tappe dove andrete a viaggiare) e soprattutto ci si sente un po’ giudicati, come se sospettassero costantemente che TU possa rivelarti una spia o un nemico dello stato, che fa affari con i terroristi.

Non è una bella sensazione sinceramente, e secondo me non fa altro che alimentare la già bassa opinione che molti occidentali hanno del governo cinese. Comunque, paese che vai, usanze che trovi. Le leggi vanno rispettate anche se non capite o apprezzate e quindi bisogna portare molta pazienza.

A Korla, una città nel bel centro del Xinjiang, ho appreso che per poter accedere alle zone vietate agli occidentali, spesso si può chiedere un documento chiamato “Certificato di approvazione di viaggio” (旅游通行政) da richiedere al dipartimento di sicurezza (公安局) locale, ottenuto il quale si possono varcare le zone “sensibili” anche se si viaggia da soli (ma questo dipende, vedi articolo su Hami).

Sottolineo che questo documento è locale, il che vuol dire che ogni volta che ci si sposta il documento va rinnovato nell’ufficio di polizia locale e non vale per tutte le città xinjiangesi. Per i posti turistici che si trovano fra due città bisogna prima accertarsi in che giurisdizione si trova l’area interessata, se all’interno dei limiti di una città o dell’altra. Altrimenti si rischia di doversi spostare di città e rifare il documento da capo. Altre volte, è possibile accedere alle zone di restrizione prenotando il viaggio con un’agenzia locale, che farà i documenti per voi e si disporrà della macchina appropriata per l’accompagnamento degli stranieri (sì, in alcuni posti gli stranieri devono essere per forza accompagnati da alcuni tipi particolari di automobile, non da un comune taxi – vedi articolo su Kashkar).

Quindi nonostante la fatica, un senso di magone costante e di alito gelido sul collo, viaggiare nel Xinjiang è possibile e soprattutto è altamente consigliabile, perché offre panorami unici e soprattutto una ricchezza multiculturale affascinante.

Gli uyghuri, i kazakhi e tutte le minoranze presenti sono felici di incontrare gli stranieri (nonostante non possano ospitarli, per via dei controlli), e perfino i cinesi han sembrano più aperti e più empatici rispetto a quelli di altri posti. Qui le minoranze etniche e quella cinese hanno generalmente un buon approccio l’una verso l’altra: è assolutamente normale incontrare cinesi che hanno vecchi amici uyghuri ecc., magari con cui sono cresciuti insieme a scuola.

Dopo gli attacchi terroristici, tutti sono in posizione di svantaggio, perfino i cinesi han che vogliono affittare le case ad appartenenti alle minoranze etniche, anche quelle non uyghure. Il governo controlla continuamente i movimenti di tutti per assicurarsi che non si instaurino più associazioni anti-governative, sia da parte delle minoranze, sia da parte dei cinesi han. Questo ha fatto sì che fra han e minoranze etniche ci sia spesso una mutua comprensione, poiché vivono tutti nello stesso clima di terrore imposto dall’alto.

Nonostante tutto, questo clima di controllo ha forse segretamente e inaspettatamente armonizzato culture diverse, il male di uno diventa anche il male dell’altro, perciò l’intolleranza di un gruppo etnico rispetto a un altro è raramente presente.

Alcune zone principalmente desertiche e isolate del Xinjiang sono zone dedicate all’esercito, quindi inaccessibili a chi potrebbe fare foto e pubblicarle liberamente sulla rete.

Riassunto delle tappe girate:

Hami

Turpan

Urumqi

Kuitun (Canyon di Anjihai)

Zhaosu/Mongolkure

– Ili

Korla

Kucha + Canyon mistico

Kashkar + deserto del Taklamakan

Cosa NON FARE nel Xinjiang

Essendo un territorio occupato dall’esercito cinese ed essendo a maggioranza musulmana, cerchiamo di rispettare alcune regole fondamentali.

1) MAI e dico MAI fotografare o filmare i soldati nei posti di frontiera di città, strade esterne/interne alla città. Li riconoscerete perché sono armati e spesso si trovano accanto alle camionette dell’esercito anche dentro le città. MAI fare anche solo chiamate video per sbaglio di fronte a loro. Ho personalmente assistito all’ammonimento di una ragazza cinese han (che sedeva in taxi con me) per aver continuato una videochiamata già iniziata durante l’arrivo ad un posto di blocco. L’ammonimento è accompagnato dalla confisca momentanea del cellulare di cui vi chiederanno tutte le password per accedere a tutti i dati e dovrete attendere qualche minuto che spiino il vostro cellulare con un programma per cercare evidenze che stavate o meno cercando di estrapolare informazioni dall’esercito.

2) Non parlate di temi sensibili (maltrattamenti da parte del governo, carceri, campi di rieducazione, preghiera , islam ecc.) con gli abitanti del luogo in pubblico (intendo anche ristoranti, taxi ecc.) perché le telecamere sono dappertutto e se per voi non è un problema potrebbe esserlo per i locali, spiati 24h al giorno.

3) Evitate di aggiungere uyghuri e locali turcofoni su Wechat o di chiamarli per telefono. Molti di loro sono già cauti e vi diranno che non potranno mettersi in contatto con voi neanche per fare due chiacchiere. Questo perché in passato qualcuno è stato arrestato per aver diffuso qualche informazione a qualche straniero o abitante fuori dalla Cina e ora il governo cinese è diventato più paranoico che mai.

P.S. Io ho dei contatti locali da prima che la morsa del governo si stringesse ancor più sui locali e non ho mai avuto problemi nel contattarli, però cerchiamo di evitare di arrecargli problemi se possibile. In sostituzione potreste dargli il contatto di un caro amico cinese han che NON vive nel Xinjiang.

4) Essendo in una zona islamica, rispettare il culto e le usanze dei locali. Non regalare o mangiare maiale in loro presenza. Per l’alcol e le sigarette devo dire che dipende a quale tipo di locali vi riferite. Se gli uyghuri sono molto più tradizionali sulle leggi dell’islam, altri locali quali i kazaki sono un po’ meno restrittivi. Infatti fra kazaki l’alcol e le sigarette sono ammessi (lontano da occhi indiscreti quali parenti e anziani)!

5) Non fatevi vedere in troppa intimità con i locali, ma mantenete sempre una certa distanza per non arrecargli problemi (soprattutto se siete facilmente riconoscibili come stranieri, intendo dire carnagione troppo chiara o troppo scura, occhi chiari, capelli chiari). Io ho la “fortuna” di assomigliare a un’uyghura (vi assicuro che la maggior parte dei locali si approcciavano parlandomi in uyghuro) e quindi sono passata facilmente inosservata.

Piano piano pubblicherò i dettagli  sul mio viaggio di 7 settimane nel Xinjiang in articoli legati a questa pagina di introduzione.

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Silvia

2 pensieri su “Xinjiang, la Turchia d’Oriente

  1. Salve, è un po’ che seguo le tue pubblicazioni e le trovo molto interessanti, ma alcuni chiarimenti sono necessari.
    Quanto è credibile che un “musulmano” affidi la rappresentazione e la difesa dell’islam a degli “occidentali”? Capisco che in situazione di grave crisi è meglio che niente, però sono confuso; io conosco un buon numero di islamici che da qualche tempo sono venuti ad abitare attorno a casa mia: provengono dagli Emirati Arabi, dal Qatar (vengono per vacanza) e dal nordafrica (piccoli imprenditori). In sostanza ceto alto e medio. Rapporti molto cordiali, ma che si fidino non lo posso dire (e neanche i miei compaesani si fidano granchè).
    Inoltre, riguardo alla situazione nello Xinjiang, qui vengono sparati numeri a caso: 1 milione, 2 milioni, 3 milioni di reclusi. L’ultima quantificazione da fonte americana: da uno a 3 milioni. Ma 3 milioni sono 1/3 o 1/4 della popolazione (non so quanti siano gli uiguri nello Xinjiang). Mi sembrano troppi: uno per famiglia (almeno).
    Ho una brutta sensazione e credo che questa partita non la giocherò.
    Saluti.

    1. Salve, grazie per l’apprezzamento dei miei articoli, però temo di non aver capito cosa intende dire riguardo all’islam o al fidarsi reciproco fra musulmani e “infedeli”.
      Per quanto riguarda i numeri sono d’accordo con lei che sono molto approssimativi, ma le assicuro che tutti gli uyghuri che ho incontrato dal vivo nel posto (nonchè alcuni amici xinjiangesi, musulmani e non) mi hanno detto che la quantità delle persone è diminuita notevolmente. Tenendo conto che gli uyghuri sono circa 10 milioni e volendo ipotizzare anche solo la sparizione di un 10% degli uyghuri si parla già di un milione di persone sparite, senza contare gli altri musulmani (kazaki, tajik, uzbek ecc.).
      Personalmente reputerei la sparizione di decine di migliaia di “musulmani” nel Xinjiang già una situazione grave che andrebbe indagata meglio.
      Non perchè sono musulmani, ma perchè sono persone e perchè si parla di un governo che elimina letteralmente ogni tipo di “nemico” interno, giornalisti cinesi troppo intraprendenti compresi.
      Poi che fra questi xingjiangesi ci siano degli esaltati pericolosi è indubbio (anche qui ci sono diversi video e testimonianze dirette che ho sentito io stessa). Ma che la quantità di persone pericolose sia così estesa mi pare ancora più sospetto.

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